di: Marco Pompilio
EyesReg, Vol.6, N.1, Gennaio 2016
Sono trascorsi più di 18 mesi dall’approvazione della Legge 56-2014, più nota come Riforma Delrio, che ha cambiato il livello intermedio di governo in profondità. Nei nuovi organi di Province e Città metropolitane siedono oggi gli amministratori comunali, e questo modifica la natura, le modalità organizzative e di funzionamento di questi enti (1).
La riforma costituzionale in discussione punta inoltre a cancellare il termine “Provincia” dal Titolo V, per aprire la strada a nuove forme di enti intermedi, più snelli e disegnati dalle Regioni secondo le diverse caratteristiche dei rispettivi territori.
Tuttavia, nell’attesa di questi ulteriori passaggi, e per le incertezze su risorse e modalità per attuare la legge 56/2014, si è creata una situazione di stallo che provoca serie disfunzioni, nell’erogazione dei servizi ai cittadini e alle imprese, di cui si sono occupati anche quotidiani e approfondimenti televisivi (2): strade, trasporto pubblico, assistenza sociale, scuole, ecc. Ma la legge Delrio ha anche altre conseguenze, di più lungo periodo, altrettanto e forse anche più serie, che riguardano la pianificazione e il governo del territorio, della cui attuazione gli enti per ora non si occupano, essendo l’attenzione tutta assorbita dalle più contingenti questioni di bilancio.
I Piani provinciali, dalla loro introduzione con la L.142/1990, hanno evidenziato in modo chiaro che molte delle questioni che interessano il territorio (ambientali, viabilità e trasporti, tutela del paesaggio, localizzazione di grandi insediamenti, ecc.) trascendono i confini amministrativi dei Comuni e necessitano, per essere affrontate, di una visione sovracomunale, che sia autonoma, capace di portare a sintesi gli interessi locali senza lasciarsene influenzare. Se questa visione era fino a ieri realizzabile nell’ambito di organi provinciali ad elezione diretta, oggi la nuova natura degli organi rende più difficile garantirne l’autonomia. La pianificazione di coordinamento rientra in ogni caso, come afferma anche la stessa Legge 56/2014, tra le funzioni fondamentali dell’ente intermedio.
La riforma Delrio spinge verso l’esercizio delle funzioni secondo bacini ottimali, anche usando forme associative o unioni di comuni; tuttavia, anche nelle regioni dove le unioni sono più strutturate e i piani associati sono stati elaborati e approvati, entrando nel merito si nota che raramente questi riescono ad operare un’efficace sintesi su strategie e priorità, mentre più facilmente non vanno oltre la mera sommatoria dei piani dei comuni costituenti. Sviluppare una visione comune sul futuro delle comunità in un contesto di cooperazione interistituzionale è molto più complesso che organizzare la gestione di servizi: necessita di una guida che sia autonoma e autorevole, per fare emergere le questioni sovracomunali, di area vasta, rispetto agli interessi locali. Altrimenti un piano associato, anche se riferito ad un territorio molto ampio, rimane sempre un piano di livello comunale nell’impostazione. Non è una questione di dimensioni o competenze tecniche, ma del modo in cui i temi di area vasta sono affrontati (3).
Si sta così rischiando di perdere i progressi fatti in questi due decenni nel governo dell’area vasta, e di tornare nei confini ristretti di ragionamento della pianificazione comunale. Intanto, l’urbanizzazione sempre più dilagante (come mostrano i dati sul consumo di suolo, ormai di dominio pubblico in diverse regioni) e la maggiore complessità e interdipendenza assunta dalle relazioni funzionali tra centri urbani di diverse dimensioni rendono sempre più urgente un approccio di area vasta nel governo del territorio. Tuttavia di questo non si trova quasi più traccia nelle agende politiche di questi anni, a partire dal decreto cosiddetto “Salva Italia” del dicembre 2011.
La Costituzione e le leggi nazionali hanno sempre assegnato alla pianificazione comunale, dove gli usi del suolo vengono conformati, una posizione centrale nel governo del territorio. La riforma costituzionale del Titolo V nel 2001 ha confermato e rafforzato il concetto, e le leggi regionali sul governo del territorio che ne sono seguite si sono preoccupate di proteggere tale centralità rispetto ad ipotetiche invasioni di campo da parte delle Province. In casi estremi i piani territoriali provinciali sono stati molto depotenziati, o addirittura negati come successo nel caso del Friuli Venezia Giulia (4).
Dopo la Riforma Delrio questa preoccupazione dovrebbe essere superata: il fatto che gli amministratori comunali siano anche dentro gli organi della Provincia porta, nel concreto, ad un controllo del livello comunale sia sulle funzioni di prossimità che di area vasta.
Il comma 1 dell’art 118 della Costituzione afferma che tutte “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni”, salvo quelle che “per assicurarne l’esercizio unitario vengono attribuite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”, una dizione che colloca il livello di base comunale in posizione centrale e gli altri livelli nella sfera della deroga rispetto alla regola generale di attribuzione al Comune.
Il comma 2 afferma che Comuni, Province e Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie, per cui la regola generale è da intendersi come riferita al complesso delle istituzioni territoriali. (5)
La Legge 56/2014 sposta in modo deciso l’attenzione sul comma 1, attribuendo di fatto il controllo di tutte le funzioni amministrative anche quelle di area vasta al livello comunale. Stando così le cose, verrebbe meno la necessità di proteggere attraverso norme regionali la centralità pianificatoria del comune, e liberati da questa preoccupazione e condizionamento si potrebbe finalmente cercare una soluzione al governo dei temi di area vasta che sia basata sulla concreta dimensione dei problemi.
In realtà, come vedremo tra poco, la situazione è più complessa, in quanto se ora gli amministratori comunali controllano sia le funzioni di prossimità che quelle di area vasta, l’esercizio di queste ultime non è completamente demandato al livello comunale, neppure dalla Legge Delrio.
Adeguatezza e sussidiarietà, che sono principi sempre presenti nella Costituzione, anche nel nuovo testo attualmente in discussione in Parlamento, richiedono che i problemi siano affrontati alla scala più vicina alla dimensione in cui i problemi stessi si presentano: dunque alla scala comunale, la più vicina al cittadino, quando il problema può essere risolto dal Comune. Ma quando la struttura tecnico amministrativa è piccola o non adeguata, o il problema coinvolge più comuni, trovandosi di fronte ad un tema di area vasta, la questione non può che essere affrontata alla scala e con gli strumenti dell’area vasta.
Se poi gli aspetti territoriali che richiedono un approccio di area vasta prevalgono rispetto a quelli locali, tendenza che come detto è in atto da tempo, allora ci si può domandare se non sia arrivato il momento di assegnare alla pianificazione territoriale di area vasta priorità rispetto a quella comunale, lasciando a quest’ultima il compito di dettagliare le soluzioni assunte alla scala di area vasta o di affrontare quei temi che richiedono una conoscenza più diretta e aggiornata della situazione locale.
Sarebbe un cambiamento radicale del punto di vista, che per essere attuato non potrebbe essere lasciato a generali poteri di indirizzo o coordinamento, o quantomeno non solo a questi, ma che richiederebbe una ripartizione tra pianificazione comunale e di area vasta di quei poteri conformativi sugli usi del territorio che le norme fino ad oggi hanno riservato in via quasi esclusiva al livello comunale.
Quando il problema è di area vasta, potrebbe avere senso, in una logica di semplificazione e linearità, risolverlo nella pianificazione di area vasta, fatta salva la flessibilità necessaria per piccoli adeguamenti nel passaggio alla scala di maggiore dettaglio della pianificazione comunale.
Rimane aperta la questione dell’adeguatezza del livello di area vasta nel prendere decisioni che siano libere dai condizionamenti locali, visto che negli organi provinciali siedono amministratori comunali.
Il livello decisionale di area vasta, per essere autonomo nelle decisioni, deve essere separato e distaccato dal livello locale. Ma le persone fisiche, i politici, che si occupano dei due livelli ora coincidono. Sperare in una loro capacità di astrarsi dalla loro carica comunale per assumere la veste istituzionale provinciale nel momento in cui si devono prendere decisioni nell’interesse dell’area vasta, sarebbe poco realistico. Anche i sindaci e consiglieri comunali più accorti non possono che tenere in conto, in ogni caso e prima di tutto, di essere stati eletti dai cittadini del proprio comune. Questo è umano, oltre che pienamente coerente nei confronti di chi ha votato.
Se le persone che si occupano di funzioni di prossimità e area vasta sono le stesse, gli amministratori comunali per svolgere queste ultime si devono spostare, letteralmente, nella sede della Provincia, dove sono localizzati i suoi organi politici e gli uffici tecnici e amministrativi. La stessa legge (D.Lgs 95/2012) annovera tra le funzioni fondamentali dei Comuni “la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale”, dove la prima si svolge nel Municipio e la seconda, alla quale il Comune “partecipa”, nella sede provinciale. Le funzioni di area vasta non possono essere esercitate stando dentro il Municipio, dove invece vengono esercitate quelle di prossimità. Le funzioni di area vasta possono essere affrontate solo stando dentro la sede della Provincia.
Questo passaggio di sede è dunque fondamentale, e si deve fare in modo che lungo la strada tra municipio e Palazzo della Provincia gli amministratori comunali dimentichino almeno momentaneamente i condizionamenti locali, per prendere decisioni autonome nell’interesse della comunità di area vasta. Si deve in sostanza cercare di mantenere distinte le cariche istituzionali, anche qualora queste coincidano nella medesima persona fisica. Questo non significa, si badi bene, dimenticare gli elettori i quali hanno votato una persona come sindaco o consigliere comunale, ma che da dopo la Legge Delrio con lo stesso voto eleggono anche un proprio rappresentante negli organi della Provincia.
Si deve approfondire e comprendere meglio la natura di ciascuno degli organi di secondo livello dell’ente intermedio, molto diversa da quella degli organi ad elezione diretta, e il diverso ruolo che possono assumere gli uffici della provincia, non solo sugli aspetti organizzativi interni ma anche nel raccordo, di coordinamento ma anche di assistenza, con le strutture comunali.
Anche gli strumenti di pianificazione dovranno essere ripensati, aggiornando le norme regionali sul governo del territorio, che con l’approvazione della L 56/2014 sono in buona parte ormai obsolete.
Il PTCP non può più essere riferimento unico sui temi territoriali di area vasta, e i suoi contenuti dovranno cambiare. Continua ad essere fondamentale, ma per affrontare i temi di area vasta ha ora più di prima bisogno di una stretta sinergia e integrazione con altri strumenti di pianificazione di area vasta, sia di livello comunale che regionale, come piani comunali associati o piano territoriale regionale, che non sono tuttavia ancora pensati per affrontare i temi di area vasta. Esistono interessanti eccezioni in alcune realtà provinciali (6) dove già negli anni scorsi sono stati sperimentati modelli organizzativi simili, e questo è accaduto molto prima della Riforma Delrio e del decreto “Salva Italia” che ha avviato il percorso di revisione dell’ente intermedio.
Le modalità di ripartizione dei contenuti di area vasta tra i piani regionali, provinciali e comunali, varieranno nelle diverse regioni secondo l’impianto normativo, le dimensioni delle province, dei comuni, le tradizioni culturali e le prassi amministrative. Difficile definire un modello unico. In generale dove i comuni sono già organizzati in associazioni e unioni, o dove sapranno organizzarsi, molti aspetti di area vasta potranno essere affrontati nei piani associati, utilizzando i quadri di riferimento e gli strumenti messi a disposizione dal PTCP. In alcuni casi, attraverso specifici accordi tra comuni e provincia, i piani associati, o addirittura il PTCP, potranno anche sostituire il livello strutturale della pianificazione comunale: una soluzione che sarebbe coerente con lo spirito della Riforma.
Dove invece i comuni non sapranno organizzarsi assieme alla provincia per essere efficaci sui temi di area vasta, dovrebbe intervenire in sussidiarietà la regione, anche se permangono ad oggi molte perplessità sulla reale capacità dei PTR attuali di costituire un valido riferimento per svolgere la funzione di coordinamento territoriale.
In conclusione, non appena gli enti intermedi avranno superato le criticità di bilancio, che in questa prima fase di attuazione della L 56/2014 costituiscono preoccupazione dominante, si dovrà pensare a come ridefinire dopo la Riforma le funzioni più strategiche, quelle che riguardano il governo dei temi di area vasta, tra le quali la pianificazione territoriale di coordinamento.
Manca ancora il completamento della modifica Costituzionale per superare il modello sussidiario introdotto dalla riforma del 2001. Tuttavia si possono già intravedere alcune interessanti direzioni verso cui orientare la riflessione. Se ad una prima lettura la Riforma sembra indebolire il piano dell’ente intermedio, cercando di guardare oltre si intravede la possibilità di rilanciarne il ruolo attraverso una maggiore integrazione tra strumenti di pianificazione provinciale e comunale, mantenendo in ogni caso i due livelli di pianificazione distinti. Un’integrazione che riguardi anche quei poteri conformativi sugli usi del territorio che fino ad oggi le norme hanno assegnato in via esclusiva ai piani comunali. L’argomento è ampio e complesso, e non può essere esaurito in poche pagine. In questo scritto si sono forniti alcuni spunti di riflessione, da sviluppare, riferiti alla pianificazione delle Province. Per brevità non si è parlato dei piani delle Città Metropolitane, che presentano analogie, ma anche significative differenze, e che è quindi meglio trattare in un successivo dedicato scritto.
Marco Pompilio
Note
(1) I contenuti del presente scritto traggono origine dagli spunti e dalle puntuali osservazioni emerse durante i colloqui con Martina Callegari, Capo Servizio Giuridico Amministrativo della Provincia di Rovigo, che ringrazio per il determinante apporto e la gentile e paziente disponibilità.
(2) Tra gli articoli più significativi vedere per esempio: Gianni Trovati su Il Sole 24 Ore del 3.11.2015, Cosimo Rossi su Il Venerdì di La Repubblica del 16.10.2015, Paolo Marelli sul Corriere della Sera del 13.5.2015, Valentina Conte su La Repubblica del 5.4.2015, Paolo Ghisleri su La Repubblica del 4.1.2015. Vedere anche la trasmissione di Rai 3 Report del 19.4.2015, scaricabile dal sito web report.rai.it
(3) Anche nelle Regioni dove sono presenti Unioni di Comuni consolidate, solo in alcuni casi le funzioni urbanistiche sono state delegate all’Unione. In ogni caso i pochi Piani associati sviluppati, a parte rare eccezioni, non operano una vera e propria sintesi secondo un sistema di strategie e di priorità di rilevanza sovracomunale. Si limitano ad assumere e sommare le scelte dei singoli comuni, trattando le questioni di confine, intercomunali, senza affrontare lo sforzo necessario per la definizione di una visione di area vasta. Come detto esistono alcune lodevoli e innovative eccezioni, tra queste è significativo il tentativo operato con il Piano Strutturale dell’Unione della Bassa Romagna.
(4) La legge regionale sul governo del territorio della Regione Friuli Venezia Giulia prevede l’attribuzione delle funzioni di area vasta al livello comunale (art. 3 comma 2 della LR 5/2007).
(5) Concetti tratti da Marco Di Folco, Il riordino regionale delle funzioni provinciali alla luce dell’art 118 Cost e della l.n. 56/2014, pubblicato sul sito accademiautonomia.it, Febbraio 2015.
(6) Un esempio in tale senso è dato dal lavoro svolto per attuare il PTCP di Padova approvato nel 2011 attraverso il coinvolgimento dei Comuni nello sviluppo di Piano di Assetto del Territorio Intercomunali.