di: Massimo Parrini
EyesReg, Vol.9, N.6, Novembre 2019
Negli ultimi anni si è avviata in Toscana una stagione di nuove pratiche pianificatorie, che vedono coinvolti moltissimi comuni in un rapporto stretto e attivo con gli uffici regionali a motivo della presenza di alcuni nuovi istituti previsti dalla legislazione regionale, quali la Conferenza di Copianificazione (art. 25 della LR n. 65/2014) e le Conferenze Paesaggistiche (art. 31 della LR n. 65/2014) nelle quali gli uffici regionali costituiscono elemento proattivo. Ciò è avvenuto grazie alla nuova Legge regionale per il governo del territorio n. 65 del 2014 e dal Piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico approvato nell’anno successivo (Marson, 2016).
Analizzando i dati disponibili nei rapporti dell’Osservatorio Paritetico Regionale della Pianificazione rileviamo che al 31 dicembre 2018 era in corso la revisione 232 strumenti di pianificazione sia strutturale (160), sia operativa (72), ancora non sufficiente a garantire la gestione continua dei 195 (il 71% dei Comuni della Toscana) strumenti operativi con previsioni giunte a scadenza quinquennale (Giunta Regionale Toscana, 2019). Tra le pratiche avviate mostrano un particolare interesse quelle che si riferiscono alla pianificazione urbanistica intercomunale perché possono costituire un punto di partenza per promuovere una riflessione su questa nuova stagione dell’urbanistica cooperativa anche alla luce di una diversa lettura positiva delle esperienze passate.
Una lettura delle esperienze di pianificazione cooperativa in Toscana
L’approccio di tipo volontaristico in Italia ha una storia lunga, purtroppo portatrice di esigui risultati se consideriamo solo gli strumenti di pianificazione approvati e giuridicamente efficaci. In Toscana, in particolare negli anni ’50, si sono registrate diverse esperienze, nate entro il solco della Legge n. 1150/42, che hanno coinvolto 110 comuni raggruppati in 11 aree e che complessivamente interessavano il 53,88% della popolazione residente al 1971 e il 37,45% del territorio regionale (Lombardi, 1982). A queste prime esperienze avevano aderito gran parte dei capoluoghi di provincia e tra questi spiccava l’esperienza del capoluogo regionale che vedeva coinvolti i 22 comuni del Piano Intercomunale Fiorentino (Di Pietro, 1966), purtroppo nessuna di queste esperienze ha visto concludersi l’iter procedurale fino all’approvazione.
Si sono poi avute diverse altre azioni di coordinamento dei piani, tra le quali possiamo ricordare quelle legate alla programmazione economica delle prime esperienze regionali e, sul finire degli anni ’70, all’articolazione di questa politica sul territorio attraverso i comprensori che a quell’epoca “sembra rappresentare la migliore soluzione di intermediazione tra esigenze locali e indirizzi regionali” (De Luca, Lingua, 2012 p.97), e che poi evolveranno nei distretti industriali o nelle Associazioni Intercomunali (Becattini, 1975).
Successivamente all’azione incentivante svolta dalla legge regionale n. 74/84 si attivarono i coordinamenti da parte di alcune province o comuni capofila e gli schemi strutturali di Firenze-Prato-Pistoia, Arezzo, Siena, Grosseto, Pisa-Livorno e Massa-Carrara riconosciuti e normati poi dalla legge regionale n. 4/1990. Al termine di quel periodo solo 8 comuni dei 287 della Toscana non erano compresi in alcuna forma di coordinamento (De Luca, 2001).
Spesso queste pratiche non hanno prodotto i risultati in termini di cogenza giuridica, ma sono andate ad arricchire un già spesso background di cultura normativa, disciplinare e politica che si è poi riversata completamente nell’esperienza della pianificazione provinciale attivata negli anni ’90.
Una lettura cronologica di queste esperienze ci consente di riconoscere fasi alterne tra il forte interesse o il sostanziale abbandono delle attività di pianificazione intercomunale. La spinta iniziale gli anni ’50 avvenne principalmente a causa dell’intenso sviluppo economico quando i comuni di maggiori dimensioni avevano necessità di gestire la forte crescita che spesso superava i loro limiti amministrativi. Le aspettative si riversarono poi sulle regioni a statuto ordinario, recentemente istituite, che avrebbero predisposto i propri strumenti di pianificazione territoriale e le proprie leggi urbanistiche avviando un periodo di esperienze differenziate a seconda dei diversi modelli pianificatori adottati (Belli, Mesolella, 2008). In Toscana l’attenzione si spostò sulla produzione di Piani settoriali derivati da contesti socioeconomici specifici come il Progetto Marmo, Il Progetto Cuoio oppure il Progetto Amiata (Jervis, 1989). Si rifanno a questa cultura il Piani Coordinati dei comuni di Sorano, Castell’Azzara e Pitigliano riuniti nella Città del Tufo (De Luca, 2014) ed il Piano dei comuni della Val di Cornia (Campiglia Marittima, Piombino, S. Vincenzo, e Suvereto). Successivamente con l’approvazione la Legge n.142/90 la domanda di coordinamento delle politiche a livello sovracomunale trova una sua risposta nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, di conseguenza vengono meno molte delle esigenze dei Comuni di aggregarsi in un ulteriore livello intermedio.
Nuove pratiche in prospettiva
Rispetto al passato, oggi le condizioni culturali e normative consentono almeno in Toscana un maggiore ottimismo nei confronti degli esiti della pianificazione associata infatti lo sdoppiamento dello strumento comunale in piano strutturale (con contenuti strategici e statutari indeterminati) e piano operativo (conformativo dell’uso dei suoli e con validità delle previsioni a termini) avvenuto quasi contestualmente alla proposta dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU, 1995), consente agli Enti locali di procedere con percorsi diversificati: in maniera coordinata sul piano strutturale dedicando anche più tempo alle azioni collaborative ed ai necessari coordinamenti interistituzionali; in modo autonomo sulle scelte urbanistiche che possono venire affidate piano operativo di esclusiva competenza comunale. Tutto questo senza perdere di vista la coerenza complessiva rispetto alla flessibilità e all’efficacia necessaria in tutte le forme di pianificazione.
Altro argomento favorevole è rappresentato da una maggiore attitudine a forme di governance cooperativa esperite dai Sindaci nell’ambito dei nuovi organi assembleari delle Province e delle Unioni dei Comuni, in quelle sedi infatti si tenta di ricomporre la frattura tra ambiti istituzionali e realtà socioeconomica locale che evidenzia spesso disallineamenti importanti tra organi di governo e fenomeni sempre più ampi e sovralocali (Dematteis, 1989).
La Regione Toscana sembra credere a questa opportunità di rafforzamento delle visioni territoriali proveniente dal basso, anche per il contributo che potrebbe apportare in termini di semplificazione amministrativa. Infatti ha promosso nel tempo un’azione sperimentale e diversi bandi per agevolare, attraverso appositi contributi, quegli Enti che volessero avviare un percorso unitario Le numerose iniziative intercomunali ad essi collegate e le diversità di approccio in termini operativi, quindi di diverse strutture di governance coinvolte, possono costituire un interessante caso di studio.
Questa azione promozionale regionale ha portato diversi Comuni a presentare progetti di attività pianificazione strutturale condivisa. L’attività di pianificazione strutturale intercomunale interessa ben 171 comuni (62,63% dei comuni toscani) raggruppati in 47 aree che rappresentano il 57,69% del territorio regionale e il 33,93% della popolazione residente. Alcune di queste aree corrispondo alle Unioni dei comuni, altre ai Sistemi Locali del Lavoro o alle precedenti Associazioni Intercomunali o distretti industriali, altre sono state avviate costituendo apposite convenzioni di scopo. Le geografie con le quali si stanno presentando queste esperienze sono diversificate e l’attività di ricerca è ancora in corso per individuare gli ambiti che possano favorirne il successo (Galluccio 2013, Iommi 2015, Bolgherini et al. 2015).
Confrontando le aree della Toscana che oggi hanno avviato un percorso di pianificazione intercomunale con quelle che erano state protagoniste della prima stagione degli anni ’50 possiamo rilevare una diversità significativa. Gli Enti che oggi si associano tendono ad essere di dimensioni minori rispetto alla media regionale, infatti a fronte di oltre il 60% di enti associati la popolazione rappresentata è il 34%. mentre negli anni ’50 avevamo circa il 38% dei comuni, ma che rappresentavano quasi il 54% della popolazione residente e circa il 37% della superficie regionale con la presenza di 5 capoluoghi di provincia su 9. Da ciò si evince che in passato molte delle iniziative erano promosse dai capoluoghi di provincia. Oggi questi soggetti istituzionali sono sostanzialmente assenti, rappresentati solo dalla città di Pisa, peraltro in forma molto ridimensionata (Pisa e Cascina) rispetto all’ipotesi iniziale di tutti i 5 Comuni facenti parte dell’area pisana. Il motivo potrebbe essere il venir meno, a causa della crisi economica, della necessità di governare quei fattori di crescita intorno ai centri maggiori tanto importanti nel periodo del secondo dopoguerra, mentre lo stesso motivo della crisi economica porterebbe alcune realtà minori – che comunque riconoscono nel policentrismo un fattore di successo – ad associarsi nella ricerca di nuove risorse per lo sviluppo locale. In alcuni contesti quali il Mugello, la Val di Cornia ed il Comprensorio del Cuoio, si è rilevata una certa continuità di lungo periodo degli immaginari spaziali veicolati nelle pratiche discorsive che supportano la costruzione di politiche collaborative fornendo una lettura positiva delle esperienze storiche di pianificazione associata che supera l’oggettivo fallimento degli esisti giuridici del piano intercomunale (Parrini, 2019). Le considerazioni precedenti escludono l’area della città metropolitana Fiorentina, che formula i propri strumenti strategici rispondendo a una differente normativa rispetto alle rimanenti aree della Regione (De Luca, 2017),
Conclusioni
In Toscana le esperienze di pianificazione strutturale intercomunale sono ancora all’inizio. Tuttavia, si riconosce una volontà associativa importante, motivata dalla volontà di offrire opportunità di sviluppo locale ai territori interessati da dinamiche socio-economiche sempre più globalizzate e per raggiungere le migliori economie di scala della gestione di servizi e infrastrutture (Teles e Swianiewicz, 2018).
Le esperienze attivate grazie all’azione proattiva della Regione Toscana sono molto interessanti soprattutto per l’apertura verso un coordinamento multiscalare di Area vasta, attraverso gli strumenti della conferenza di co-pianificazione e della conferenza paesaggistica. A questi tavoli interistituzionali si cerca di raggiungere un equilibrio duraturo tra le istanze di tutela e quelle di valorizzazione del territorio con la partecipazione dei diversi attori locali.
Queste esperienze in itinere meritano di essere seguite nel tempo per verificarne gli esiti. In ogni caso arricchiranno il dibattito politico e disciplinare in tema di pianificazione urbanistica e territoriale e potrebbero contribuire ad una necessaria azione di semplificazione amministrativa.
Massimo Parrini
Riferimenti bibliografici
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