di: Chiara Tagliaro e Gianandrea Ciaramella
EyesReg, Vol.10, N.3, Maggio 2020
Il fenomeno del coworking (1), nato negli Stati Uniti attorno al 2010, ha visto una fase di grande espansione anche in Europa, dove un rapporto di Bnp Paribas Real Estate (2019) registra significative transazioni nel 2018 nel mercato dei coworking. Anche il nostro Paese, a partire dal 2015, ha accolto questo modello di ufficio. A Milano si concentrano i casi più rilevanti e innovativi nel panorama italiano (Zanzottera, 2020). Una recente indagine (FARB project) condotta presso il DAStU-Politecnico di Milano (Mariotti & Akhavan, 2019) conta più di 100 spazi di coworking nel capoluogo meneghino. Dal 2017 al 2018, Bnp stima una crescita del 300% di nuovi spazi di coworking a Milano (Zanzottera, 2020).
Questa modalità di utilizzo dello spazio, orientata a favorire la creatività e la connessione tra attività complementari, sembra dare risposta a due aspetti che caratterizzano la domanda. Il primo riguarda la possibilità di utilizzo di spazio di lavoro a costi contenuti, sulla base del principio dello “spazio come servizio” (Zanzottera, 2020), vincente per una domanda di mercato che arriva da lavoratori free-lance o all’inizio della propria vita professionale (Andrioli, 2014). Il secondo aspetto riguarda l’espansione del terziario avanzato, settore dove la condivisione fisica dello spazio favorisce la contaminazione delle idee, ma soprattutto la trasformazione delle idee in prodotti/azioni, così come accadeva nelle botteghe del Rinascimento (Formica, 2016).
Il coworking è stato registrato come un fenomeno tipicamente urbano (Swezey & Vertesi, 2019; Zhou, 2019), in grado di rivitalizzare quartieri e comunità (Mariotti, Pacchi, & Di Vita, 2017), di rigenerare un patrimonio costruito obsoleto e abbandonato – prevalentemente quello dei brown field e dei capannoni ex-industriali (Buczynski, 2013; McKight, 2016; Syrkett, 2017; Wang, 2017), nonché di dare nuova linfa vitale al settore del real estate (Cushman & Wakefield, 2018).
Tuttavia, alla luce delle abitudini forzate innescate dalla recente pandemia di Coronavirus, che impone il distanziamento sociale e l’astinenza dagli incontri fisici, sembra difficile immaginare come questi spazi possano trovare senso di esistere. Pare oggi più che mai opportuno interrogarsi sul se e come, dopo questa emergenza sanitaria a scala mondiale, il coworking sopravviverà. In questo breve contributo, proviamo a dare una risposta a questa domanda.
Una crisi già in atto?
Una recente survey di Coworker.com (Konya, 2020) ha confermato che le principali sofferenze economiche che i CS stanno affrontando dipendono principalmente da: annullamento di eventi (per il 71% dei CS), cancellazioni di prenotazioni su meeting room e conference room (per il 66%), ritiro di membership (35%), modifiche nel comportamento degli utenti (24%), chiusura dello spazio (20%) e membri ammalati (9%). Anche le revenue da colazioni e pranzi si sono ridotte. In aggiunta alle perdite di incassi che queste evenienze hanno comportato, si aggiungono anche degli incrementi di spese dovuti principalmente agli interventi di sanitizzazione, alle nuove campagne di comunicazione e alle modifiche dello spazio in ragione del distanziamento sociale.
Tuttavia, secondo un’indagine di Italian Coworking (https://www.italiancoworking.it/), le difficoltà non sono solo recenti. Solo il 30% dei coworking space (CS) in Italia si trovava in una situazione di profitto, o almeno di equilibrio di bilancio, già prima di Covid-19. Tra il 2018 e il 2019, ben 50 CS sui 600 presenti nel nostro Paese hanno chiuso i battenti proprio perché incapaci di far quadrare i conti.
Si parla quindi certamente di una crisi contingente all’isolamento sociale e alla inevitabile fase di recessione a cui stiamo andando incontro. Però queste difficoltà incidono su un settore che, già prima dell’insorgenza della pandemia, non godeva di ottima salute.
Quali i competitor più temibili?
Stime di Cushman & Wakefield, prevedono che i settori immobiliari maggiormente impattati dalla crisi saranno innanzitutto quelli che comportano le interazioni umane. Dopo il settore degli hotel e del retail, il terzo settore in sofferenza sarà proprio quello dei coworking, che si stima perderà il 55% in termini di U.S. REITs, ancor più del settore degli uffici tradizionale (Figura 1).
Figura 1. Cushman & Wakefield’s COVID-19 Webinar (https://www.cushmanwakefield.com/en/insights/covid-19/implications-for-real-estate-investors-and-occupiers-webinar)
Paradossalmente, i competitor principali dei CS non sono gli uffici tradizionali, non sono altri ‘third places’ (Oldenburg, 1989) come bar e spazi pubblici e semi-pubblici (per esempio hotel e spazi retail), ma sono le abitazioni.
Se le principali motivazioni per la nascita e il successo dei CS sono state proprio basate sulla volontà di controbilanciare gli svantaggi del lavoro da casa (Spinuzzi, 2012), questo che stiamo attraversando è stato definito da più fonti il più grande “esperimento di lavoro da casa” a livello globale (Konya, 2020; Memoori, 2020). Tuttavia, diversi commenti di osservatori del mercato hanno sottolineato l’inadeguatezza delle mura domestiche per svolgere adeguatamente le attività di lavoro.
Kevin Roose (2020), editorialista del NY Times, cita una ricerca del 2014 condotta dal prof. Nicholas Bloom dell’università di Stanford: la ricerca, che ha indagato il lavoro da casa di operatori di agenzie viaggi, ha riscontrato un incremento della produttività del 13% ma, allo stesso tempo una difficoltà a risolvere problemi e, soprattutto, un significativo limite alla coesione dei gruppi di lavoro. Anche l’obiettivo di una migliore possibilità di bilanciamento equilibrato tra lavoro e vita privata sembra essere messo in difficoltà dal lavoro a casa (Crosbie & Moore, 2020). Per i profili manageriali, che spendono oltre il 60% della propria giornata lavorativa in meeting e attività face-to-face (Porter & Nohria, 2018), questa condizione di distanziamento fisico dalle persone e dall’ufficio sembra ancora più difficile da gestire.
Tutto questo aggravato dal fatto che la residenza è una tipologia immobiliare su cui è difficile intervenire per innovare, data la frammentazione del regime proprietario e gestionale. Nel frattempo, Internet of Things (IoT), Cybersecurity, Cloud Computing, manifattura additiva, realtà aumentata e Big Data Analytics, stanno producendo impatti decisivi sulle necessità di spazio in diversi segmenti del comparto immobiliare. Ad esempio, per le attività industriali pulite e per la logistica, si assiste a un possibile sviluppo in verticale, che può prefigurare un ritorno in ambito urbano di funzioni produttive che negli ultimi 30 anni sono state progressivamente espulse dalle città (Ciaramella & Celani, 2019).
Cosa si immagina per il settore coworking?
Prospettive inaspettate
È intuitivo che il coworking stia subendo pesanti contraccolpi in conseguenza dei nuovi obblighi in materia di ambiente, salute e sicurezza. L’organizzazione degli spazi di coworking si basa sul concetto di favorire la comunicazione, la collaborazione e il senso di comunità tramite prossimità fisica tra le persone (Allen, Bell, Graham, Hardy, & Swaffer, 2004; G. Brown, 2008). Tuttavia, i maggiori benefici nel (a) ispirare e creare iniziative innovative di business e (b) condividere conoscenza e sviluppare nuove idee, sembra siano generate nei CS non tanto per l’utilizzo di uno spazio comune, ma più che altro grazie a “coordinated serendipitous encounters” (J. Brown, 2017a). Il vero valore aggiunto dei CS è quello di offrire un’infrastruttura/piattaforma di contatti, relazioni e opportunità.
Alcuni operatori ritengono che questa pandemia non indebolirà, ma anzi rafforzerà i CS. Dane Stangler, imprenditore, sostiene questa tesi su Forbes (Stangler, 2020), con tre principali ragioni: la crescita dei remote workers comporta la necessità di spazi adeguati e le abitazioni private non lo sono; gli spazi di coworking non soddisfano solo le esigenze spaziali, ma possono offrire servizi di supporto cruciali per le piccole imprese, quelle individuali, i lavoratori autonomi e altri piccoli imprenditori che spesso sono “ai margini dell’economia locale”; infine, gli spazi di coworking sono ormai a pieno titolo motori delle economie locali. Stangler cita l’esperienza dalla società Launch Pad (2): in sole 5 sedi la società ha contribuito a generare oltre 9.000 posti di lavoro, raccolto circa $230 milioni di investimenti e affittato spazi per oltre un milione di mq (LaunchPad, 2020). Questi numeri non possono lasciare indifferenti le città e i policy-maker.
Ciò che è certo è che gli impatti del Coronavirus hanno provocato un pesante shock sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta. Anche per Paesi che hanno affrontato prima di noi questa emergenza e che ne stanno adesso vedendo la fine (es. Cina), il ritorno alla normalità non è immediato. Piuttosto, si parla di una “nuova normalità” da trovare.
Questa nuova normalità deriverà da scenari oggi ancora non prevedibili, ma riconducibili a due alternative: un’alternativa prefigura un mondo che dovrà sempre più confrontarsi con rischi pandemici come quello di Covid-19, dunque presuppone che lo scenario che stiamo vivendo sia destinato a ripetersi e determini una situazione di non-ritorno; l’altra ipotesi prevede invece che, una volta risolta l’emergenza sanitaria grazie a cure efficaci, strutture dedicate e disponibilità di vaccini, la nuova realtà sarà come quella precedente e, quindi, anche la domanda di spazi e servizi assomiglierà molto a quella del periodo pre-Covid-19.
Abnormal is the new normal
Qualunque dei due scenari si avvererà, ripensare il modello di business del coworking in funzione di una maggiore resilienza sembra un passo irrinunciabile. I CS stanno già mettendo in atto delle misure di mitigazione degli impatti, tra cui (Easy Cowork, 2020; ItalianCoworking, 2020; Konya, 2020): revisione delle policy di membership per consentire ulteriore flessibilità; membership virtuali, slegate dallo spazio fisico; campagne di marketing per attrarre i nuovi membri, ma soprattutto per mantenere i membri attuali; apertura a target diversificati (es. studenti); incremento dei servizi offerti agli occupanti, tra cui assistenza e supporto allo sviluppo e crescita del business, ma anche partnership con negozi e servizi di vicinato per assistere i member e le loro famiglie (es. con food delivery).
Queste misure sottolineano l’estrema flessibilità della “coworking industry” che può offrire una gamma di prodotti e servizi decisamente ampia e diversificata, in continuo aggiornamento. Per questo motivo, le previsioni plausibili per il futuro dei CS invitano a rivedere alcuni concetti collaudati dalla letteratura.
Il coworking potrebbe trasformarsi da fenomeno urbano a fenomeno peri-urbano e periferico (J. Brown, 2017b; Mariotti & Di Matteo, 2020), nella prospettiva di un’espansione delle politiche di smart working e di decentralizzazione della forza lavoro (Konya, 2020; Memoori, 2020; Schirru, 2020). In particolare, l’idea del “lavoro diffuso” potrebbe farsi strada per molte aziende come misura di prevenzione in materia di salute e sicurezza. Inoltre, le grandi reti di coworking potrebbero beneficiare di partnership ad-hoc con sedi più disperse sul territorio per diversificare il rischio.
Da occupanti privilegiati di capannoni ex-industriali, i CS potrebbero ibridarsi con gli spazi residenziali, sulla scorta della filosofia “Office-as-a-Service”. I CS potrebbero occuparsi in maniera professionale su larga scala della progettazione e gestione di spazi home office. Allo stesso tempo, alcune iniziative residenziali potranno prevedere piccoli spazi dedicati al coworking, per esempio al piede degli edifici.
Da ultimo, contrariamente alla discrasia esistente in letteratura tra i coworking community- e business–oriented (e.g. Gandini & Cossu, 2019), un nuovo modello integrato potrebbe farsi largo, attraverso una maggiore integrazione tra le comunità interne ai CS e maggiori interazioni con le comunità urbane e locali limitrofe.
Chiara Tagliaro e Gianandrea Ciaramella, Politecnico di Milano – Dipartimento ABC
Bibliografia
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Coworking as an emerging urban lifestyle: location analysis study of coworking
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NYC.
Note
(1) Questo studio è stato condotto nell’ambito del Progetto COST Action 18214: ‘The Geography of New Working Spaces and the Impact on the Periphery’ (www.new-working-spaces.eu); https://www.facebook.com/COSTActionCA18214NeW.Sp; https://www.facebook.com/groups/886380135100739). Per un approfondimento sugli spazi di coworking in Italia si rimanda all’articolo di Mariotti e Akhavan (2020) su Eyesreg.
(2) Launch Pad è una società nata a New Orleans, che offre spazio e supporto al business ai professionisti e alle piccole imprese.
at 17:54
Complimenti, molto interessante e chiaro. Marco Ricceri
at 13:14
Grazie per l’apprezzamento!