di: Riccardo Cappellin
EyesReg, Vol.10, N.2, Marzo 2020
La necessità di una nuova strategia industriale europea
Vi è un ampio consenso in Europa su alcuni problemi comuni molto importanti, che indicano la necessità di una revisione delle attuali politiche economiche nell’ Unione Europea:
- la crescita del prodotto interno lordo (PIL) inferiore a quella delle principali aree mondiali;
- l’inflazione molto bassa, inferiore all‘obiettivo del 2%;
- un tasso di disoccupazione, che differisce da paese a paese in Europa ma in media è più elevato rispetto alle altre grandi aree globali e negli Stati Uniti;
- e, in particolare, un surplus corrente elevato e persistente, che indica uno squilibrio tra domanda e offerta o tra risparmi e investimenti.
A questi si aggiunge una crescente disparità tra paesi, regioni, imprese e persone alimentata dalla bassa crescita macroeconomica e dalle politiche di austerità che hanno portato i paesi europei a una corsa verso il basso.
La persistente stagnazione dell’economia europea, in particolare, è dovuta a (Group “Growth, Investments and Territory”, 2019):
1) l’insufficiente domanda interna (consumi e investimenti, privati e pubblici) e l’eccessivo avanzo dell’attuale equilibrio con l’estero;
2) la mancanza di una “strategia industriale europea” a medio termine, che prenda le distanze dalle vecchie politiche industriali, basate su incentivi fiscali e sul rispetto delle regole della concorrenza.
Per riattivare un ciclo positivo, l’economia europea deve mirare a evitare la cosiddetta “trappola del reddito medio” e ha bisogno di una “grande spinta” di investimenti pubblici e privati, che ambiscano a creare le basi di una nuova fase di industrializzazione, in termini di infrastrutture, servizi qualificati e forza lavoro qualificata. Come nella fase di ricostruzione postbellica, che ha portato al “miracolo economico” dei primi anni ‘60, l’economia europea ha ora bisogno di una “grande spinta” per evolvere verso una moderna società della conoscenza. Questo richiede importanti investimenti in:
- infrastrutture di produzione (materiali, immateriali e comunicazione);
- servizi qualificati (istruzione, sanità, consulenza, finanza, pubblica amministrazione);
- una forza lavoro con competenze sempre più elevate;
- un ambiente naturale, sociale, culturale e urbano di alta qualità.
Ma richiede anche un cambio di paradigma nel modo di operare delle imprese e nelle logiche seguite per la distribuzione dei finanziamenti.
La dimensione territoriale della nuova strategia industriale europea
La nuova strategia industriale europea dovrebbe essere orientata ai cittadini e al territorio e dovrebbe essere decisa (Cappellin, 2019):
a) con le persone come lavoratori, che hanno competenze sempre più elevate e vogliono realizzare la loro personalità sul lavoro;
b) per le persone come consumatori, che necessitano beni e servizi sempre più complessi e desiderano realizzare la propria personalità nel tempo libero;
c) con le persone come cittadini, che hanno valori e un’identità comuni e partecipano ai processi decisionali collettivi in un determinato territorio, nel loro paese e nelle istituzioni europee.
In particolare, essa dovrebbe aumentare il consumo individuale e collettivo e gli investimenti privati e pubblici in istruzione, ricerca, cultura e sanità pubblica. Dovrebbe anche aumentare gli alloggi a prezzi accessibili e sociali e gli investimenti in reti di trasporto regionali efficienti. Questo perché, oltre a promuovere una maggiore crescita economica e lo sviluppo di produzioni di alta qualità in tutte le regioni europee, la nuova politica industriale europea dovrebbe anche mirare a una migliore qualità ambientale e a una migliore qualità della vita dei cittadini, in particolare nelle aree urbane. Pertanto, il gruppo “Crescita Investimenti e Territorio” ha proposto che l’Unione europea avvii sei o più programmi di investimento strategici nelle seguenti nuove produzioni, che condizionano il benessere dei cittadini (Cappellin, Baravelli, Bellandi, Ciciotti e Marelli, 2017; Cappellin, Becchetti e Bellandi, 2019):
a) alimentazione;
b) alloggio;
c) mobilità e logistica;
d) cultura, tempo libero e media;
e) sanità, assistenza sociale e istruzione;
f) ambiente, risparmio energetico e pianificazione territoriale.
In effetti, la qualità della vita dei cittadini europei rappresenta il “bene comune” cruciale a livello europeo, ma rappresenta anche uno strumento per la creazione di nuove produzioni e nuova occupazione qualificata (Ciciotti, Dallara e Rizzi, 2008; Ciciotti, Dallara e Rizzi, 2010). In questa prospettiva, le politiche economiche dovrebbero riconoscere l’esistenza e l’importanza dei “beni comuni” su scala europea, ossia beni condivisibili da tutti i cittadini europei e che implicano l’esistenza di economie esterne sia nella produzione che nei consumi, come è indicato dal concetto di “beni relazionali” e dalle cosiddette “economia della condivisione” e “economia circolare”. Esempi di questi beni sono il patrimonio culturale, la conoscenza, la cultura, la qualità degli insediamenti urbani e dell’ambiente naturale. Pertanto, la nuova strategia industriale europea deve anche avere una esplicita dimensione territoriale. Il territorio, le aree urbane e le reti di medie e piccole città sono il quadro politico e geografico prioritario, poiché la qualità della vita delle persone dipende da un ambiente naturale e urbano ben conservato (Ciciotti e Rizzi, 2005; Cappellin, Baravelli, Bellandi, Camagni, Ciciotti e Marelli, 2015; Cappellin, 2019).
Il nuovo scopo delle imprese: il valore per gli azionisti rispetto al valore per le parti sociali
Una nuova strategia industriale europea dovrebbe promuovere sia l’innovazione nelle imprese ad alta tecnologia che la riconversione produttiva delle grandi aziende (i campioni nazionali), ed anche dovrebbe promuovere la ricapitalizzazione delle piccole e medie imprese nell’industria e nei servizi, al fine di diversificare le loro produzioni tradizionali e migliorare il loro collegamento in rete con altre imprese a livello locale ed europeo (Cappellin, 2019; Cappellin, Becchetti, Ciciotti, Garofoli, Marelli e Pilotti, 2019).
Una nuova strategia industriale europea dovrebbe però anche riorientare l’industria finanziaria e le grandi società verso l’utilizzo dei profitti nella spesa in conto capitale piuttosto che nel riacquisto di azioni proprie e nella distribuzione di dividendi e dovrebbe limitare le transazioni finanziarie speculative a breve termine. Ciò sarebbe vantaggioso per le società stesse nel lungo termine e persino per la “creazione di valore” per gli azionisti e l’aumento delle quotazioni nei mercati azionari.
Una nuova strategia industriale europea dovrebbe contribuire a promuovere l’istruzione e le competenze, assumere e trattenere i lavoratori qualificati, aumentare i salari medi (anche adottando un salario minimo), creare opportunità di lavoro adeguate e ridurre l’emigrazione dei giovani, ridurre l’orario di lavoro e assicurare più tempo libero ai lavoratori in base all’età, al sesso e alle loro esigenze specifiche e quindi aumentare il tempo che lavoratori potranno dedicare al lavoro creativo e collaborativo e finalizzato all’innovazione in collaborazione con scuole e università.
Stimolate da questa nuova strategia, le aziende dovrebbero orientare le proprie strategie di crescita verso la domanda interna in Europa e tenere conto delle importanti opportunità economiche rappresentate dalla crescente attenzione pubblica per un “New Green Deal” e dalle crescenti esigenze di migliore qualità della vita da parte dei cittadini e dei consumatori. In particolare, le imprese dovrebbero stimolare la domanda delle loro produzioni anche con investimenti materiali e immateriali, che sviluppino le loro capacità di produzione interna.
La nuova strategia industriale europea dovrebbe spingere le imprese ad adottare un più ampio “senso di scopo”, invece che una prospettiva di breve termine e a considerare anche i risultati sociali e ambientali e non solo i risultati finanziari e i profitti. Le aziende non possono avere successo da sole senza il supporto dei loro fornitori industriali e di servizi, dei loro migliori clienti, dei lavoratori, delle banche, delle istituzioni finanziarie locali, delle infrastrutture e dei servizi locali come anche senza il supporto della società civile. Anche quando le capacità di innovazione sono presenti internamente, la crescita di nuovi grandi imprese high-tech o di piccole “start-up” è limitata non dalla mancanza di finanziamenti, ma da un ambiente esterno non favorevole e da una domanda esterna troppo limitata. Pertanto, le imprese dovrebbero sviluppare la collaborazione con le varie parti interessate esterne, come i sindacati, le istituzioni locali, le scuole e le università, i servizi bancari e professionali e i servizi pubblici locali; e dovrebbero anche impegnarsi a intraprendere azioni concrete, che soddisfino le esigenze di tutte le parti interessate (stakeholders): clienti, dipendenti, fornitori, comunità locali, non solo gli azionisti.
Un ampio programma di investimenti europei
La nuova strategia industriale europea deve costituire il terzo strumento di politica economica a disposizione dell’Unione europea, accanto a quelli della politica monetaria e della politica del bilancio pubblico. Il suo scopo deve essere quello di orientare gli investimenti delle imprese private verso nuove produzioni strategiche, anche attraverso investimenti pubblici adeguati. In particolare, essa dovrebbe promuovere un ampio programma di investimenti pubblici e privati su scala europea allo scopo di aumentare la domanda interna europea di circa 500 miliardi di euro ogni anno, pari al surplus effettivo del saldo corrente esterno, e quindi ridurre la differenza (“gap”) tra la maggiore produzione interna e la minore domanda interna (Cappellin, 2016; Cappellin, Baravelli, Ciciotti, Marelli e Pilotti, 2018).
Essa dovrebbe integrare gli strumenti di molte politiche pubbliche, quali: le politiche degli investimenti e innovazione, industriale, regionale, urbana, fiscale, della finanza bancaria e societaria, dell’ambiente, lavoro, ricerca e istruzione, cultura e turismo, trasporti e infrastrutture, sanità, alimentazione e agricoltura, che richiedono un approccio di “governance multilivello” e nuove normative europee e nazionali.
Diversamente dalle politiche monetarie e di bilancio, la nuova strategia industriale europea dovrebbe essere sia progettata e attuata secondo un approccio “dal basso verso l’alto” all’interno delle varie regioni e aree urbane dell’Unione europea, sia essere promossa e coordinata congiuntamente su scala nazionale ed europea attraverso diversi programmi strategici in quanto nessun paese può agire in modo indipendente nel campo delle politiche industriali senza determinare effetti esterni positivi o negativi (“spillover”) per altri paesi.
Per questo, la nuova strategia dovrebbe:
- concentrare gli interventi politici in determinate aree problematiche urbane e non urbane selezionate sul territorio europeo;
- favorire una maggiore crescita economica dell’UE promuovendo, sia a livello europeo che nazionale, un numero selettivo di nuove produzioni strategiche e innovative, che dovrebbero essere altamente integrate tra loro;
- differenziare le strategie di investimento e gli strumenti di politica economica secondo il tipo di impresa considerata, al fine di promuovere la creazione e la crescita di nuove imprese high-tech, la diversificazione orizzontale e l’internazionalizzazione dei grandi campioni nazionali, la necessaria maggiore integrazione verticale delle imprese di medie dimensioni dinamiche e delle piccole imprese e la ristrutturazione industriale delle numerose imprese in crisi e delle rispettive aree locali (Cappellin, Ciciotti e Battaglini, 2019; Group “Growth, Investments and Territory”, 2019).
In effetti, dal punto di visto normativo e operativo, la pianificazione degli interventi nuova strategia industriale europea deve tener conto di tre diverse dimensioni, tra loro strettamente interdipendenti:
- la dimensione territoriale o locale;
- la dimensione tecnologica / settoriale;
- la dimensione finanziaria e per tipo di dimensione aziendale.
Le procedure per pianificare specifici interventi in Europa su scala regionale o locale sono ben definite nei regolamenti e nelle esperienze della politica regionale europea (si veda il caso delle “specializzazioni intelligenti”); mentre, non sono ancora stati definiti a livello europeo programmi strategici di investimento incentrati su scelte tecnologiche specifiche o sui settori prioritari per una diversificazione settoriale delle varie economie nazionali e regionali, complementari alle misure di politica monetaria e di finanza pubblica. Anche nel caso della strategia per il “New Green Deal” europeo restano da definire, su scala europea e nazionale, gli strumenti istituzionali e organizzativi indispensabili per la pianificazione e il finanziamento di investimenti innovativi da parte delle imprese, nonché per la promozione di nuove forme di cooperazione tra le società e le imprese. Chiaramente, la metodologia del cosiddetto piano Juncker è risultata inadeguata e sono necessarie direttive nuove per la Banca Europea degli investimenti, ma anche manca un coordinamento europeo delle politiche fiscali per promuovere di investimenti dei diversi tipi di imprese, dalle piccole cooperative alle grandi multinazionali estere.
Conclusioni
Una nuova strategia industriale europea, che aumenti la crescita del PIL e migliori la qualità della vita dei cittadini europei, con investimenti e innovazioni, con “più e migliori posti di lavoro”, contribuisce a migliorare le condizioni sociali dei cittadini europei e a creare un’identità comune tra gli stessi, stimolando così la fiducia comune e il rafforzamento delle istituzioni europee. Essa rappresenta quindi sicuramente un “valore aggiunto europeo” (Cappellin, 2018), rispetto ai limiti delle attuali politiche economiche, monetarie e fiscali sia europee che nazionali.
In conclusione, la questione fondamentale per la progettazione di una nuova strategia industriale europea è che il quadro teorico oggi adottato dai responsabili politici delle istituzioni europee e nazionali è inadeguato rispetto alla realtà e ai problemi economici attuali, e è invece di minore importanza oltre che inevitabile, il confronto o anche il contrasto tra le diverse priorità politiche specifiche dei vari paesi europei. Pertanto, è tempo che i politici in Europa cambino i loro assiomi ortodossi di politica economica di tipo “neoliberale”, che a molti esperti sembrano di fatto obsoleti visti i progressi negli studi economici e territoriali almeno negli ultimi trenta anni.
Riccardo Cappellin, Università di Roma “Tor Vergata”
Riferimenti bibliografici
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Cappellin R., Baravelli M., Bellandi M., Camagni R., Ciciotti E., Marelli E. (2015), a cura di, Investimenti, innovazione e città: una nuova politica industriale per la crescita., Milano: Egea
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Group “Growth, Investments and Territory” (2019), A New European Industrial Strategy oriented to the citizens and the territory for a reform towards post-neoliberal economic policies”, Forum in partnership with the EESC, Bruxelles, 4th December 2019.