di: Francesca Spitilli, Annalisa Turchini
EyesReg, Vol.5, N.4, Luglio 2015.
Il passaggio da un sistema di erogazione dei servizi centralizzato (welfare state) all’integrazione tra soggetto pubblico e privato sociale (welfare mix), è all’origine della crisi del modello d’intervento pubblico di tipo universalista, cui si aggiunge la necessità di ridurre la spesa sociale in ragione del contenimento del debito pubblico (Habermas, 1999). L’incremento della domanda di servizi, determinato anche dalla crisi economica, non ha avuto come effetto l’ampliamento dell’offerta di servizi sociali nei contesti locali, ma, al contrario, i finanziamenti hanno subito un’importante contrazione.
L’insieme di questi processi ha inciso fortemente sull’attuale corso delle politiche sociali improntato al principio di sussidiarietà [1]: le funzioni del soggetto pubblico si riducono per lasciare spazio al non profit che guadagna centralità divenendo titolare di “funzioni sociali”. Il modello d’intervento che si afferma è quello del contracting out, ossia l’amministrazione pubblica stipula appositi contratti (appalti, convenzioni, affidamenti ecc.) per acquistare servizi sociali.
Le pratiche di contracting out del sociale implicano relazioni tra i contraenti che trascendono il mero scambio economico, come avviene per altri servizi, interessando dimensioni “valoriali”. In tal senso, le forme di regolazione adottate dalle amministrazioni locali non sono neutre, ma latrici di scelte che incidono sulla qualità del sistema di offerta territoriale dei servizi.
Pertanto, l’analisi dei processi di affidamento deve approfondire aspetti relativi al “come” si contrattualizza, piuttosto che al “chi” (Campi, 2006) al fine di valutare la capacità sussidiaria intesa come integrazione tra gli attori chiave (PA e non profit) e i cittadini.
Sulla base di tali considerazioni, le dimensioni di analisi che si ipotizza fotografino al meglio questo legame sono state individuate nel:
- livello di formalizzazione del processo di contrattualizzazione;
- livello d’interazione tra i contraenti nell’attuazione dei servizi.
Il livello di formalizzazione interessa il piano della selezione dei fornitori dei servizi con particolare riguardo a due aspetti: le procedure amministrative (appalto, affidamento, accreditamento ecc.) e il rigore dei requisiti richiesti ai fornitori per la selezione.
Il livello d’interazione, invece, coinvolge il piano dell’attuazione degli interventi, cioè tutte le fasi successive alla stipula del contratto, tracciando il perimetro dell’area di effettiva condivisione tra amministrazione, non profit e utenza.
A livello sperimentale, quest’approccio è stato testato su alcuni casi di studio relativi ad esperienze di outsourcing di servizi sociali da parte di amministrazioni locali. I casi di studio, presentati di seguito, sono stati selezionati da un ampio ventaglio di esperienze (Turchini, Spitilli, 2015) nell’ottica di privilegiare “buone pratiche”, mentre la loro collocazione nei diversi modelli è avvenuta su base qualitativa, unico approccio possibile per costruire l’ipotesi di classificazione. Tuttavia, al fine di rendere il modello rigoso e replicabile, sarebbe necessario individuare indicatori quantitativi applicabili su larga scala, da affrontare successivamente.
L’analisi è stata condotta attraverso interviste in profondità rivolte ai dirigenti e funzionari degli enti locali responsabili degli interventi esaminati, e studio desk dei bandi/affidamenti messi a punto per esternalizzare i servizi.
Proposta per un modello di analisi dell’offerta
Le esperienze esaminate sono state:
- Municipio XII (ex XVI) del Comune di Roma, bando per Assistenza Educativa Culturale (AEC): l’Assistenza Educativo Culturale (AEC) è un servizio che opera nell’area scolastica ed ha come finalità l’accesso al diritto allo studio e l’integrazione in abito scolastico dei bambini diversamente abili, così come sancito dalla legge 104/92;
- Municipio V (ex VI) del Comune di Roma, bando per progetti nell’area Minori: i progetti dell’area minori messi a bando riguardano la tutela giuridica del minore, il centro per la famiglia, gli educatori di strada per adolescenti, il centro diurno polivalente, l’affidamento familiare.
- Fondazione Territori Sociali Alta Val d’Elsa (FTSA): gestisce i servizi sociali per conto dei Comuni dell’Alta Val d’Elsa, Casole d’Elsa, Colle di Val d’Elsa, Poggibonsi, Radicondoli e San Gimignano. Gestisce per conto dei Comuni citati tutti i servizi dell’area sociale rivolti a: famiglia, anziani, diversamente abili, minori, persone dipendenti da sostanze e persone con problemi psichiatrici. Il caso di studio si è concentrato sull’affidamento della gestione di una residenza sanitaria a carattere assistenziale.
Nel seguente schema (Schema 1) è raffigurata un’ipotesi di lettura delle dimensioni di analisi del livello di formalizzazione del processo di contrattualizzazione e del livello d’interazione tra i contraenti nell’attuazione dei servizi.
Schema 1. Ipotesi di classificazione delle esperienze di outsourcing
Dall’incrocio delle due dimensioni nasce uno spazio ideale articolato in modelli teorici (definiti idealtipi) che descrivono possibili modalità di azione (del soggetto pubblico) nelle policy dedicate ai servizi sociali.
Nel primo quadrante si colloca il modello chiamato “qualità sostenibile”. Tale idealtipo è dato dall’incrocio tra un alto livello di formalizzazione del processo di contrattualizzazione, e un altrettanto elevato grado d’interazione tra committenza e fornitori dei servizi. La sostenibilità qualitativa dei servizi è determinata dalla cura nella selezione dei fornitori che, grazie a un processo di valutazione rigoroso e trasparente e a una reale integrazione tra i diversi attori, garantisce i diritti degli utenti. Ricade in quest’area l’esperienza della Fondazione dei Territori Sociali dell’Alta Val d’Elsa. La procedura da questa utilizzata per la selezione dei fornitori è strutturata e attenta alla richiesta di un ampio pacchetto di requisiti di: ordine generale, capacità tecnico-organizzativa, professionale ed economico-finanziaria. Parallelamente la Fondazione raggiunge un elevato grado d’interazione con i fornitori dei servizi grazie al ricorso a strumenti di monitoraggio e controllo, e a canali informali e continui di aggiornamento sullo stato di erogazione delle prestazioni.
Nel secondo quadrante rientra il modello “qualità funzionale”. Esso si caratterizza per un basso livello di formalità del processo di contrattualizzazione associato ad un alto grado di interazione tra i contraenti. La qualità è garantita dalla focalizzazione del committente più sui risultati della prestazione, che sulle procedure di selezione del fornitore. Analogamente, i diritti degli utenti sono assicurati dall’efficacia della collaborazione tra gli attori chiave dei processi. L’approccio funzionale si traduce in pratiche amministrative snelle e flessibili associate a strumenti formalizzati di collaborazione. Rientra in questo idealtipo l’esperienza AEC del Municipio XII (ex XVI) del Comune di Roma. L’assenza di requisiti di selezione strutturati è bilanciata da pratiche collaborative attuate grazie ad un tavolo di co-progettazione istituito per accompagnare tutte le fasi del progetto.
Il terzo quadrante denominato “informalità adattiva” rappresenta, invece, una cattiva prassi a tutto tondo. Entrambe le dimensioni risultano di segno negativo. L’assenza di formalità nel processo di selezione e soprattutto la mancanza di collaborazione tra committenza e fornitori, non genera qualità dei servizi. Non vi sono casi di studio che rientrano in questo modello. L’esistenza di questo idealtipo nasce, probabilmente, nel solco della crisi delle politiche di welfare, attanagliate dalla sistematica mancanza di risorse economiche. Tale circostanza favorisce la “destrutturazione” dei processi di outsourcing e spinge ad affidare la gestione dei servizi ai fornitori meno strutturati e più economici dell’area del non profit (organizzazioni di volontariato e associazionismo sociale). Le amministrazioni comunali “adattano”, quindi, l’offerta di servizi sociali alla propria capacità economica propendendo verso prestazioni al ribasso e meno qualificate.
L’ultimo quadrante accoglie il modello “burocratico-autarchico”. Rientrano in questo idealtipo esperienze altamente formalizzate in fase di contrattualizzazione, ma non altrettanto qualificate sotto il profilo della collaborazione tra i contraenti. Il soggetto pubblico punta molto sulla formalità e trasparenza del processo di selezione esibito a salvaguardia della qualità dei servizi. Diversamente, nelle fasi di attuazione, monitoraggio e controllo dei servizi, la committenza si ritaglia un ruolo di secondo piano adottando strumenti formali ed eludendo l’interazione diretta con i fornitori. Rientra in questa fattispecie l’esperienza del progetto minori del Municipio V (ex VI) del Comune di Roma. Tra le esperienze selezionate è l’unica che attua due livelli di selezione dei fornitori: il primo è dato dal RUC (Registro Unico Cittadino), il registro dei soggetti accreditati messo a disposizione dei municipi dal Comune di Roma; il secondo è rappresentato da un bando in cui viene richiesto il possesso di molti requisiti che spaziano dalla rete territoriale ai vincoli sul personale. Viceversa, in fase di attuazione, al fornitore sono lasciati ampi spazi di autonomia che comprendono anche funzioni in tema di monitoraggio e valutazione dei servizi. L’esperienza del Municipio V (ex VI) risulta pertanto caratterizzata da un elevato grado di proceduralizzazione nella selezione del fornitore e da un basso livello di partecipazione nella fase di implementazione dell’intervento.
Conclusioni
La classificazione proposta, in linea con la Programmazione Europea 2014-2020 (Piano Operativo Nazionale Inclusione Sociale e Programmi Operativi Regionali), è un primo approccio di misura della qualità dei servizi sociali erogati nei contesti locali, come enunciato dalla Priorità d’Investimento 9iv “migliorare l’accesso a servizi accessibili sostenibili e di qualità, compresi servizi sociali e cure sanitarie d’interesse generale”. Nell’ipotesi formulata, la qualità dei servizi si ottiene dall’incrocio virtuoso tra l’interazione costante e continuativa tra amministrazione locale e non profit, e un livello di formalizzazione dei processi di selezione trasparente e garante dell’idoneità dei fornitori dei servizi. Il soggetto istituzionale locale che adotta tale classificazione, colloca il proprio processo di outsourcing all’interno di uno dei quadranti, ottenendo un’approssimazione della distanza rispetto all’area dell’eccellenza e, quindi, una misura per il miglioramento della qualità dei servizi erogati.
Francesca Spitilli, Annalisa Turchini, ISFOL
Riferimenti bibliografici
Boccacin L., (2009) Terzo settore e partnership sociali. Nuove pratiche di welfare sussidiario, Milano, Vita e Pensiero
Campi S., (2006), Sistemi di welfare mix e nuovi meccanismi di regolazione nel campo dei servizi sociali alla persona. Un confronto tra Italia e Belgio, Impresa Progetto – Rivista on line DILTEA, n. 1
Frisanco R., (2013) Volontariato e nuovo welfare. La cittadinanza attiva e le amministrazioni pubbliche, Carocci Editore
Habermas J., (1999) La costellazione postnazionale, Milano, Feltrinelli
Turchini A. Spitilli F. (2015) Il welfare che cambia: in non profit nell’erogazione dei servizi sociali, Roma, ISFOL I libri del Fondo Sociale Europeo (http://www.isfol.it/news/pubblicato-il-volume-che-indaga-il-non-profit-nellerogazione-dei-servizi-sociali)
Note
[1] Il campo d’interesse del principio di sussidiarietà riguarda nello specifico i rapporti tra Stato e società e si sintetizza nei motti “non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare fa soli” e “l’intervento deve essere portato al livello più vicino al cittadino”.