di: Maria Prezioso
EyesReg, Vol.3, N.2 – Marzo 2013.
Diversità territoriale e nuova politica di coesione
La diversità territoriale è un carattere della coesione già presente nella letteratura geografica almeno dagli anni ’20 del secolo scorso. Integrata in tempi più recenti dagli studi sulla competitività regionale (Porter, 1996; Storper, 1997), sul capitale territoriale attuale e potenziale (Martin in Lennert, 2006; Lennert, 2010; Camagni, 2010; Prezioso, 2011a), sulla new regionalisation (Prezioso, 2008), la diversità territoriale è stata rilanciata nel 2011 (Cohesion Policy Programme of Polish Precidency of the Council of European Union) come punto di partenza necessario all’attuazione della strategia Europe 2020 (Barca Report, 2009; V Cohesion Report, 2010; Territorial Agenda, 2011) e di una rinnovata – seppure ancora poco chiara – idea di Paneuropa.
La diversità assume così il ruolo di principale variabile della coesione territoriale, a sua volta mezzo e strumento con cui affrontare l’attuale periodo di stagnazione e crisi, generando diversi e originali modelli geografico-economico competitivi, policentrici, sostenibili e cooperativi (ESPON, 2013). Dai documenti europei, in particolare, si apprende di come in molte regioni europee la Strategia 2020 dovrà rispondere alla scarsa resilienza (fragilità) e all’aumento della vulnerabilità prodotte da alcune grandi “questioni” di sviluppo (climate change, energy, demography change, globalisation), rispetto a cui mancano, però, indicatori in grado di comparare le diversità territoriali stimandone le risorse reali e potenziali per la crescita (target della Rinnovata Agenda Territoriale 2011).
Spunti per una declinazione operativa della diversità territoriale
La coesione territoriale, tema di ricerca fondamentale della geografia economica, è al centro di studi metodologici e applicati che hanno come oggetto i capitali potenziali territoriali regionali da sviluppare per rendere efficace la strategia Europe 2020.
Numerose metodologie di studio e azioni di intervento condivise sono state sperimentate e alcuni metodi (Prezioso, 2006 e 2008; Capello, 2007; Radej, 2008; Evers, 2009; Camagni, 2010) sembrano oggi in grado di misurare più di altri la diversità e il grado di coesione territoriale servendosi di processi di valutazione d’impatto ex ante[1]. Questi permettono di stimare le relazioni di interdipendenza tra variabili socioeconomiche, ambientali e culturali che si sommano ai tradizionali indicatori del benessere regionale (Faludi, 2009), evidenziando gli squilibri nella variazione strutturale del capitale territoriale regionale e locale.
La sperimentazione appena avviata in Europa sull’attendibilità degli indicatori e degli indici sintetici già sviluppati (ESPON, JRC, OCSE, MISE, ISTAT) a questo scopo[2] si avvale solo parzialmente della revisione della letteratura scientifica, dei documenti di lavoro europei, nazionali, regionali, e delle metodologie e dei risultati dalla ricerca sostenuta dall’UE stessa (STeMA, MIA, MASST, PBL, TEQUILA) che hanno consentito, tra il 2007 e il 2013, di definire un concetto e una misura della coesione proprio basata sulla diversità (Prezioso, 2006b e 2011a), discostandosi dall’interpretazione convenzionale adottata nel quadro della programmazione comunitaria. Sebbene si tratti infatti di iter teorici e metodologici che in molti casi hanno anticipato le linee guida e le procedure (es. di Territorial Impact Assessment- TIA) poste in essere dall’UE per valutare gli impatti economico-territoriali (efficacia ed efficienza) di policy nazionali e regionali, il loro spesso elevato livello di complessità si è scontrato con il principio di semplificazione e la necessità di accelerazione nell’ottenimento dei risultati al centro dell’attuale processo negoziazione comunitaria. Anche per questo, la diversità territoriale non compare tra le variabili del confronto critico europeo che precede la programmazione 2014-2020, che punta al contrario ad individuare una tipologia regionale univoca di coesione territoriale, indipendentemente dall’orizzonte di stabilità che dimensioni e performance territoriali potrebbero offrire.
La mancata valutazione della coesione territoriale in relazione alla variabile “diversità” ha pesato sul consolidamento dello sviluppo di regioni considerate virtuose perché coese (es. Nord-Italia, Sud della Spagna, Germania Centro-Orientale e Wallonia, Rastand-Holland), in cui, da un’iniziale posizione di vantaggio competitivo (trasformazione degli originari localismi in modelli innovativi di riferimento globale), si passati ad accogliere megatrend (urbani, sociali, ambientali) difficili da gestire con le tradizionali policy europee.
Dal punto di vista dell’analisi geografica, la coesione è rappresentata e misurata da un tipo di regione nella quale i processi economici, sociali, culturali e ambientali sono direttamente influenzati dall’integrazione e interdipendenza delle relazioni (cooperazione interna ed esterna). Essa è stata studiata nell’ultimo decennio a diverse scale NUTS mettendone in risalto gli aspetti macro-economici ed infrastrutturali e le capacità potenziali più che reali (V Cohesion Report). Tuttavia, proprio questa scelta di ambito e dominio, cioè le NUTS – unità territoriali omogenee statistiche e spaziali e caratterizzate da forti legami funzionali che traggono origine da gerarchie economiche e sociali – sono da considerare il primo fattore di resistenza all’adozione di una metodologia di studio sulle diversità, che sottintendono ambiti d’indagine diversi (istituzionali o no, come nel caso dei comportamenti collettivi inclusivi). La diversità territoriale coesiva, intesa anche come base positiva su cui si costruisce la capacità competitiva globale tra territori, è stata in grado, al contrario, di dare origine a molteplici forme di policentrismo territoriale e multilevel governance, includendo le originarie gerarchie città/regione e reti di cooperazione tra istituzioni, imprese cittadinanze (coesione locale e “dal basso”, misurata ad es. dal numero degli accordi), e di intensificare, attraverso l’uso del Fondi Strutturali 2013, il dialogo tra policy maker regionali e nazionali su temi quali: territorial development and cooperation, balanced growth, polycentrism, urban drives, rural areas, ultra peripheries ecc. (Cfr. ESPON Programme, 2013).
Quali messaggi dalla ricerca geografica europea e italiana
Negli ultimi anni, concrete occasioni offerte dalla ricerca europea a dare evidenza delle diversità nel contesto della coesione territoriale si sono sviluppate attraverso la cooperazione in rete tra Target Group transnazionali. Le attività in corso dal 2009, strettamente connesse alle “flagship initiatives” di Europe 2020, sono finalizzate a creare, per il periodo 2014-2020, scenari e visioni per una nuova strategia di crescita in Europa, operando sia nell’area delle policy priorities che collegano Horizon 2020 alla Europe 2020, sia nell’ottica di un “bottom-up” challenge-based approach attraverso l’impiego di risorse e conoscenze multidisciplinari, ivi incluse la geografia e le altre scienze economiche e sociali.
Attività pilota di demonstration ma anche di education hanno consentito di rileggere ed adeguare alla domanda 2020 temi e concetti quali: sustainability and green economy; clean and efficient energy; smart, green and integrated planning; inclusive, innovative and secure societies; climate action, resource efficiency ecc. In più, insieme alle attività di peer to peer review e blunder check di progetti di ricerca applicata, esse hanno permesso monitorare lo sviluppo scientifico a livello dei singoli paesi, rileggendo la coesione territoriale in termini di pianificazione integrata strategica, capitalizzazione di concetti e concettualizzazioni, armonizzazione di processi formativi dedicati a istituzioni, stakeholder, accademici, policy maker e practitioner.
Con riferimento specifico all’Italia, i risultati già ottenuti impiegando approcci quali-quantitativi dimostrano che la coesione come mezzo, strumento e fine della politica territoriale regionale può essere utilizzato per misurare gli squilibri economico-sociali, ambientali e culturali e la distanza da colmare per raggiungere i target europei fissati per rilanciare la crescita sulla base delle diversità territoriali. Nel nostro paese, la relazione con i sotto-temi in cui si declina la diversità e la coesione territoriale hanno aperto nuove frontiere di approfondimento (ad es. in materia di cambiamento climatico e carbon footprint, modelli per la gestione della città mediterranea o di quella smart), spingendo la ricerca geografica (a scala infraregionale, interregionale, sovranazionale) ad occuparsi, ad un tempo: i) di temi più generali e di forte impatto politico-economico, come la nuova competitività 2020; ii) di temi più strumentali, quali la rivisitazione concettuale del lessico geografico e l’impiego di metodologie e tecniche innovative condivise di valutazione ex ante delle politiche.
Test significativi sulla bontà di questo approccio sono in corso (SciencesPo, Datar e Ceri 2010-2011) e si può ipotizzare che, in via generale, la nozione di coesione regionale sarà sempre più legata in Europa alla capacità competitiva attiva e sostenibile del capitale territoriale.
Il suo approfondimento in chiave geografica è essenziale per l’Italia, per informare e definire scelte diversificate e trasformare le diversità territoriali in asset di crescita (nuova policy integrata regionale). Come pure concentrare l’attenzione sul ruolo crescente assunto, di fronte alla crisi, dalle esternalità positive nel recente sviluppo economico regionale, per pervenire ad una definizione tangibile (livello di armonizzazione ex ante) e misurabile del concetto quale elemento portante lo sviluppo del capitale territoriale reale (driving forces) e potenziale (growth priorities). In questo, la positiva contaminazione della geografia con ambiti cognitivi diversi (le scienze regionali, la pianificazione, l’economia e la statistica, il management, l’informazione territoriale, il diritto) ha offerto (e offrirà ancora) visioni e scenari, regole, anche d’indirizzo, nel quadro delle riforme e delle scelte di nuova politica economica e di governo dei territori aventi al centro la coesione territoriale, cogliendo le opportunità della Programmazione 2013 che si sta concludendo e i temi strategici che si vanno sviluppando per Europe 2020.
Maria Prezioso Dip. di Scienze e Tecnologie della Formazione – Università di Roma “Tor Vergata”, maria.prezioso[at]uniroma2.it
Note
[1] Un manuale è in corso di pubblicazione da parte della DG Policy Region.
[2] Si tratta di indicatori e indici in genere organizzati in cluster georeferenziati (tipologie UE a livello di NUTS 2, 3 e LUA) o per temi (crescita intelligente, sostenibilità, inclusione sociale) e sotto-temi (innovazione, occupazione, energia, demografia, cambiamento climatico ecc.).
Bibliografia
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Storper M. (1997), The regional world: territorial development in a global economy, New York: Guilford press.
Riconoscimenti
Un grazie per le suggestioni e le riflessioni offerte alla stesura di questo contributo va ai colleghi della rete ECPs e ai ricercatori ESPON 2013, e ai giovani geografi e stakeholder del progetto ESPON-Train.
at 18:33
In terms of a practical understanding of nature, compared to the bees we are but infants.
When the ‘counter-culture’ movement was in full swing in the United
States in the late 1960s, many younger people began a ‘back to the earth’ movement in an attempt to draw a closer connection the
land that they instinctively knew sustained them.
The weekly Farmers Market becomes a ritual for those seeking wholesome, organic foods that promote health through
harvest direct from local Producers.