di: Paolo Galuzzi
EyesReg, Vol.5, N.2 – Marzo 2015.
La mancata aggiudicazione del Bando promosso da Arexpo [1] per assegnare le aree di proprietà sulle quali si svolgerà l’Esposizione Universale 2015 di Milano non ha rappresentato, certo, una sorpresa. Andando deserto il Bando, si è confermata con tutta evidenza l’assenza di condizioni economiche e sostanziali per una soluzione di carattere immobiliare, quale quella prefigurata dall’Accordo di programma del 2008 [2] per lo sviluppo del sito a conclusione del grande evento.
Il Bando rappresentava una tappa obbligata della missione di Arexpo per garantire l’evidenza pubblica del progetto unitario offerto da un possibile developer.
Le Linee Guida e il Masterplan delle aree Arexpo, le cui elaborazioni prendono forma nella primavera 2013, hanno rappresentato un lavoro non solo funzionale al Bando di gara, ma anche -e soprattutto- pensato per orientare i percorsi che si sarebbero aperti oltre la gara; naturalmente se continueranno a essere condivise le scelte di fondo con cui ha lavorato il Comitato di indirizzo e lo staff tecnico della Società a partire dalla prima presentazione pubblica del progetto (Novembre 2013).
Con la consapevolezza che, nelle realtà urbane mature occidentali in crisi, i grandi eventi riconducibili alle Esposizioni universali hanno esaurito gran parte di quella forza propulsiva di rinnovamento urbano per grandi progetti di trasformazione, che a lungo ha alimentato le retoriche con cui si ricercavano, si costruivano e si accompagnavano queste grandi manifestazioni planetarie [3].
Anche per questa ragione, il Masterplan è stato concepito con caratteri di “processo” più che di progetto “formale”, nella consapevolezza di dover traguardare un tempo lungo di attuazione; ma soprattutto con la volontà di orientare con incisività l’immediato -la fase più critica- e con gradualità e flessibilità l’intero processo di sviluppo.
Traguardando un tempo lungo, almeno ventennale, in cui si dispiegherà lo sviluppo dell’area, il Masterplan offre ampi margini di flessibilità e di adattabilità, in grado di accogliere esiti inattesi e di verificare nel tempo le potenzialità di recupero del lascito permanente di Expo 2015.
Uno strumento, quindi, abilitante, aperto a più soluzioni e a più istanze, con cui si sono portati in evidenza i nodi critici e le contraddizioni ereditate dalle regole urbanistiche e attuative dell’Accordo di Programma in termini di quantità, di procedure, di obblighi. Con questi limiti si è cercato di fare i conti, di superare alcuni vincoli di impostazione insieme agli aspetti non più attuali.
Assumendo un atteggiamento critico verso queste premesse condizionanti, il Masterplan si è misurato con la prospettiva di un progetto di qualità, che agisse su due dimensioni strategiche per il disegno futuro dell’area: a) il pieno riuso dell’area e delle opere realizzate per Expo, con un approccio alla legacy aperto a una nuova cultura del progetto urbano: capace di riusare, riciclare e adattare quanto viene ereditato, dando nuovo senso e reinventando materiali esistenti nati per altre forme d’uso; b) l’anticipazione dell’attuazione ordinaria del sito attraverso azioni, progettualità e interventi di carattere temporaneo, affiancando, così, al riuso graduale dell’area, interventi temporanei virtuosi; con l’intento di riaprire il sito, o alcune sue parti decisive, come per esempio i principali spazi pubblici, immediatamente dopo la conclusione dell’esposizione universale.
Un approccio che per dispiegarsi deve essere accompagnato e sostenuto attraverso una regia pubblica, almeno fino alla stesura del piano urbanistico definitivo, per generare e accogliere quelle esternalità diffuse che possono dare piena rivitalizzazione al sito.
Se, quindi, il lascito immateriale si sostanzierà nella ricerca di solidi legami con i temi, i soggetti e le relazioni internazionali che l’esposizione universale farà emergere, il lascito materiale si potrà concentrare su un ampio riuso critico del disegno e dell’impianto che sorregge l’insediamento espositivo in costruzione.
Incominciando dagli elementi costitutivi infrastrutturali (l’”urbanizzazione nascosta” della Piastra) che permetteranno di mantenere fisicamente l’impronta dell’esposizione universale. Il telaio della Piastra può divenire, infatti, lo “spartito urbanistico”, la forma dentro la quale indirizzare lo sviluppo futuro del sito, con l’intento di facilitare e fluidificare le operazioni di riuso, anche nelle fasi iniziali o di transizione, da sempre le più critiche.
In questo modo, dopo l’evento o in un tempo breve, il sito potrebbe essere restituito alla città e alla vita urbana. Porsi l’obiettivo di riaprire velocemente il sito, prefigurando per alcuni luoghi un possibile utilizzo temporaneo -fast post-coinvolgendo specifici manufatti e attrezzature ereditate, significa ridurre, così, le inevitabili discontinuità di processo. Attraverso un graduale sviluppo dell’area che mantenga presidiati, fruibili e sicuri gli spazi aperti e gli spazi pubblici e collettivi su cui si realizzeranno più durevoli processi futuri. Coinvolgendo anche gli edifici che presentano anch’essi caratteristiche di temporaneità strutturale nella dismissione programmata e selettiva: quali i cluster, gli edifici per le attrezzature di servizio, i padiglioni degli Stati più interessanti a livello architettonico e paesaggistico.
Per altre specifiche parti, potrebbe essere valutata una sostanziale continuità d’uso, assicurata dalla accessibilità su ferro e dai collegamenti viari anulari, oltre che dalle principali connessioni pedonali e ciclabili.
Gradualmente il sito potrebbe, poi, essere completato e prendere forma compiuta in un tempo più lungo, caratterizzandosi al meglio anche in presenza di aree non ancora insediate e di cantieri in trasformazione.
Il Post Expo da situazione critica, potrebbe costituire, invece, una grande opportunità di sperimentazione, in grado di accogliere elementi di innovazione ed eccellenza progettuale e rilanciare lo sviluppo economico della città post-metropolitana con l’attrazione di investimenti e creazione di posti di lavoro.
Un laboratorio per sperimentare con coraggio i futuri possibili della città metropolitana e della regione urbana postmetropolitana, affrontando anticipatamente i temi nuovi che l’urbanistica milanese avrà di fronte negli anni a venire, che richiederanno alcune specifiche capacità:
- lavorare a progetti intercomunali metropolitani sulle aree di confine;
- valorizzare le centralità metropolitane con robusta accessibilità regionale attraverso progetti di respiro territoriale;
- tornare a pensare le città anche sotto il profilo delle attività economiche, rispondendo dentro la città alle esigenze del lavoro che cambia;
- sperimentare usi temporanei per evitare l’abbandono e il degrado e promuovendo urbanità nel già urbanizzato laddove i rischi di abbandono e marginalità divengono ogni giorno più critici;
- lavorare a progetti di rigenerazione urbana e ambientale, avendo cura del suolo, dello spazio aperto, delle condizioni ambientali, della rigenerazione delle risorse ambientali e delle loro fragilità.
Paolo Galuzzi, DAStU – Politecnico di Milano
Note
[1] Arexpo ha pubblicato nell’Agosto 2014 un bando per l’alienazione delle aree di proprietà con riferimento all’ambito su cui avrà luogo l’Expo 2015. Il Bando è scaduto alla metà di Novembre senza che alcuna proposta di sviluppo sia stata formalizzata.
[2] L’Accordo di Programma per la disciplina urbanistica delle aree Expo è stato adottato nel 2008 e definitivamente approvato nel 2011. Oltre a definire la disciplina delle aree funzionale alla Esposizione Universale, L’Accordo di programma Expo definisce le regole urbanistiche per lo sviluppo futuro del comparto, di fatto assimilandolo nella proposta quantitativa e funzionale alle tante trasformazioni programmate negli anni duemila a Milano attraverso gli strumenti della programmazione complessa.
[3] Su questi aspetti si è a lungo soffermato l’intervento di Alain Bourdin al seminario “Quale ruolo per i grandi eventi nelle agende urbane”, tenutosi il 10 dicembre 2014 presso il DAStU della Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano