Questo articolo è tratto dall’ intervento dell’autore alla sessione plenaria dei Rettori delle Università meridionali “Capitale umano, sistema universitario e sviluppo regionale”, tenutasi il 14 Settembre 2015 a Rende (CS), in occasione dell’ultima Conferenza Scientifica dell’AISRe. Considerata la rilevanza e l’attualità degli argomenti trattati, la Redazione ha ritenuto utile pubblicarlo e condividerlo con i lettori di EyesReg.
di: Roberto Lagalla
EyesReg, Vol.6, N.3, Maggio 2016
La storia dell’Italia post-unitaria si accompagna, praticamente senza soluzione di continuità, all’irrisolta “questione meridionale” che – nel tempo e nonostante i ripetuti interventi statali, anche a carattere straordinario – ha determinato evidenti disarmonie nella crescita del Paese, generando significativi ritardi di competitività internazionale.
Ancora oggi non può essere ignorato come un sensibile contributo all’auspicabile innalzamento del PIL nazionale resti collegato ad un rinnovato modello di sviluppo delle regioni meridionali, stante il rilevante gap che le separa dalle altre aree territoriali del Paese, molto più vicine alla media dei principali indicatori europei.
A dispetto di tali considerazioni, apparentemente ovvie, l’agenda politica nazionale sembra almeno restia a promuovere un’organica pianificazione, orientata alla riqualificazione e alla valorizzazione del Mezzogiorno dove, peraltro, le storiche responsabilità delle locali classi dirigenti non possono essere sottaciute.
Si pone, dunque, l’esigenza di ripensare in chiave moderna la tradizionale “questione meridionale”, superando i limiti delle precedenti stagioni ed adottando adeguate strategie di sistema in luogo della spesa improduttiva e delle logiche clientelari, per troppo tempo prevalenti e corrosive del tessuto sociale ed economico del Meridione d’Italia.
Il cambiamento del Mezzogiorno, ormai indifferibile per alimentare speranza nel futuro, deve largamente modificare, se vuole essere tale, gli attuali assetti della società meridionale e produrre una profonda discontinuità dei comportamenti pubblici, trasformando le attuali politiche assistenziali in opportuni investimenti per l’innovazione e lo sviluppo sostenibile dei territori. Parimenti, deve essere superata quella innata e diffidente tendenza individualistica che, nella storia, non ha consentito di trasformare le singole, e pur presenti, eccellenze del Sud in un sistema coerente di azioni e funzioni tra loro integrate e sinergiche.
In un siffatto contesto di potenziale rinnovamento è centrale il ruolo delle università alle quali è affidata tanto la qualificazione del capitale umano, quanto la spinta all’innovazione e all’avanzamento delle conoscenze, non disgiunte, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia, dall’educazione alla legalità e all’affermazione dei valori di convivenza civile.
Tuttavia, è ampiamente noto come si sia radicata – soprattutto in questi ultimi anni, caratterizzati da una drastica riduzione delle risorse destinate all’alta formazione e alla ricerca – una speciale “questione meridionale dell’università”, segnata da un diffuso e progressivo ridimensionamento degli Atenei del Sud, e da una copiosa emigrazione intellettuale che priva i territori di competenze e di solide prospettive per il futuro.
Di fatto, si perpetua, da anni, una sorta di silenziosa liquidazione del sistema accademico meridionale che amplifica il divario Nord-Sud e che non ha trovato, fino ad oggi, adeguate e coraggiose politiche di riequilibrio, anche per effetto dell’imposizione di parametri e criteri di valutazione degli Atenei apparentemente oggettivi, ma chiaramente asimmetrici – e penalizzanti per il Mezzogiorno – a ragione dei differenti contesti socio-economici nei quali le università operano nelle diverse aree del Paese.
Alle insoddisfacenti risposte maturate a livello nazionale, si aggiungono – soprattutto in alcune regioni e, tra queste, certamente la Sicilia – insufficienti politiche locali a sostegno del diritto allo studio e della promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione.
Ne consegue, in contesti profondamente segnati da storiche fragilità e da ulteriori criticità derivanti dalla contingente situazione recessiva, un profondo e pericoloso disagio delle giovani generazioni che produce sempre più intensi flussi migratori, ed alimenta le desolanti schiere dei NEET.
Né si concretizzano, a livello regionale, adeguate strategie orientate alla formazione professionale e al raccordo scuola-lavoro, utili alla costruzione complementare di un robusto ceto di quadri intermedi da destinare alla crescita qualificata della produzione e allo sviluppo delle risorse locali.
In un quadro così difficile e complesso, si impongono decisive scelte politiche indirizzate, da una lato, a rafforzare direttamente il sistema universitario e, dall’altro, ad agire organicamente sulla programmazione regionale dei fondi strutturali, da orientare all’innovazione del settore produttivo ed al potenziamento delle infrastrutture e della connettività materiale ed immateriale.
Il debole e prevalente tessuto della piccola e media impresa meridionale è chiamato, da parte sua, ad acquisire più matura consapevolezza delle straordinarie potenzialità derivanti dalla sistematica collaborazione con il mondo della ricerca, al fine di elevare i livelli di competitività e di implementare l’occupazione di personale qualificato.
La sfida è, dunque, quella di investire largamente nella società della conoscenza per affermare il primato della competenza, maturata attraverso la buona formazione professionale e, soprattutto, mediante il riconoscimento della funzione svolta dalle università e dal raccordo di queste ultime con il sistema delle imprese in un contesto di valorizzazione delle risorse territoriali.
Anche sul versante del sostegno al sistema universitario, è richiesto uno specifico impegno delle Regioni, con il meritorio obiettivo di affermare una virtuosa dinamica di sussidiarietà verticale con il governo nazionale.
In particolare, si rende necessario migliorare i livelli di aiuto, costituzionalmente tutelato, ai giovani bisognosi e meritevoli; implementare i servizi a disposizione degli studenti; avviare percorsi di educazione all’auto-imprenditorialità, incoraggiando iniziative di spin-off e start-up innovative; favorire la dimensione internazionale degli studi e degli scambi culturali; varare misure atte ad agevolare l’inserimento lavorativo di capitale umano qualificato.
Non può, inoltre, essere ignorata l’esigenza culturale, ormai indifferibile, di contribuire alla costruzione di un nuovo e più originale “pensiero euro-mediterraneo” che guardi al Mezzogiorno d’Italia come alla sede naturale e privilegiata delle grandi cooperazioni tra l’Europa e la sponda sud del Mediterraneo, anche nella prospettiva di più mature politiche dell’accoglienza e della virtuosa ibridazione di culture e sensibilità diverse.
L’auspicato passaggio alla “società della conoscenza”, intesa quale leva essenziale per il cambiamento e per l’affermazione di un evoluto meridionalismo, finalmente affrancato dalla insistita invocazione di interventi pubblici a fondo perduto, resta tuttavia subordinato ad una precisa assunzione di responsabilità da parte della classe dirigente e del ceto politico del Mezzogiorno ai quali si chiede il superamento delle vecchie e sterili logiche dell’appartenenza e l’adesione a nuove ed aggiornate scelte, basate sulla competenza e sull’investimento nel capitale umano e nel convinto ed intelligente sostegno alle giovani generazioni.
Roberto Lagalla, Rettore Università di Palermo (2008-2015)