di: Vittorio Silva
EyesReg, Vol.6, N.3, Maggio 2016
“Urban and rural areas enjoy different and often complementary assets, and better integration between them is important for socio-economic performance.” (1)”
Il tema della soppressione/riforma delle Province, che tanta enfasi ha avuto nel nostro Paese negli ultimi anni, va collocato, per essere correttamente compreso, all’interno di un processo più ampio nel quale vari interventi finalizzati alla riorganizzazione delle istituzioni locali si sono incrociati e sovrapposti con la ridefinizione, nel senso del riaccentramento, degli equilibri di funzioni e poteri tra Stato centrale e territori (2). Si tratta di un fenomeno che trova diverse motivazioni che è impossibile in questa sede affrontare se non per citarne due, di particolare rilevanza, anche per l’impatto avuto sugli orientamenti dell’opinione pubblica. Alludiamo da un lato dalla crisi economico finanziaria apertasi dal 2008, con le sue importanti conseguenze sui redditi dei cittadini e sugli equilibri della finanza pubblica, che hanno imposto come tema emergente la necessità di combattere sprechi e inefficienze, e dall’altro lato ai limiti sempre più evidenti dell’esperienza federalista/regionalista avviata con le riforme di inizio millennio.
Peraltro la ricerca del miglioramento dell’assetto territoriale della Pubblica Amministrazione, in questi anni difficili segnati dalla crisi, non è un dato soltanto Italiano. Esperienze di riforma degli enti locali sono state avviate e sono in corso in altri Paesi Europei simili al nostro, anche se l’enfasi posta nel dibattitto politico e disciplinare, nonché nella cronaca corrente, sul tema della “soppressione” dell’Ente Intermedio, sembra rappresentare una specificità italiana (3). Al punto che secondo alcuni essa sarebbe motivata più dall’essere le Province l’anello debole sul piano politico e del consenso, piuttosto che da una reale priorità di intervento rispetto ai risultati conseguibili in termini di risparmi e di migliore funzionamento del sistema (4). D’altra parte, come è stato osservato, solo 8 dei 28 paesi dell’Unione Europea sono privi di un secondo livello di governo locale oltre a quello comunale di base e nessuno di questi presenta caratteristiche comparabili all’Italia (5).
Quali che siano le opinioni in proposito è indubbio che la ridefinizione delle Province, attuata dalla legge n.56/2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e sulle fusioni di comuni”, ha rappresentato un punto di approdo irreversibile dopo svariati tentativi avviati in passato e mai portati a compimento, anche se il percorso per il superamento di questi Enti non è ancora concluso. Infatti la legge costituzionale di riforma che sarà entro breve sottoposta a referendum, in caso di esito positivo dello stesso, aprirà la strada a nuovi interventi sulla materia; dal momento che essa, da un lato, elimina la provincia dal novero degli Enti previsti dalla costituzione e, dall’altro, all’art. 40 “Disposizioni Finali” affida alla legislazione regionale le disposizioni in materia di “Enti di Area Vasta” fatti salvi i “principi ordinamentali generali” demandati alla legislazione statale. Di qui la necessità di interrogarsi sullo stato attuale del processo di riforma e sugli ulteriori sviluppi prevedibili e/o auspicabili.
Contenuti e sviluppi della riforma delle province introdotta dalla legge “Del Rio”
La riforma delle province tratteggiata dalla legge “Del Rio” poggia su quattro elementi di fondo:
- trasformazione della provincia in Ente di secondo livello, con organi eletti dai consiglieri dei comuni, e quindi “governata” dai comuni; si è parlato della Provincia come “casa dei comuni” (6);
- ridefinizione del profilo funzionale dell’Ente, con assegnazione allo stesso di circoscritte competenze predeterminate, che, seppur definite come «fondamentali», ne impediscono la qualificazione come istituzione avente fini generali;
- previsione della possibilità di sviluppare il ruolo dell’Ente nella direzione del supporto ai Comuni e del coordinamento degli stessi, con particolare riferimento all’ambito della programmazione e della pianificazione territoriale, della assistenza tecnica ed amministrativa, della raccolta ed elaborazione dati;
- assegnazione alle Regioni del compito di completare la riforma provvedendo alla ricollocazione, presso i comuni o le loro unioni oppure presso la Regione stessa, delle funzioni non più di competenza provinciale e delle correlate risorse umane, finanziarie e patrimoniali.
Il percorso di attuazione della legge 56/14 tra ritardi ed emergenze finanziarie
Purtroppo il percorso di attuazione della legge 56 si è rivelato fin da subito difficile ed accidentato, incrociando da un lato l’ingente riduzione delle risorse finanziarie degli Enti disposto dalla legge di stabilità per il 2015 (L. 190/2014), che si è sommato ad altri precedenti provvedimenti analoghi, dall’altro lato il ritardo nell’emanazione dei provvedimenti di ricollocazione delle funzioni da dismettere da parte delle Regioni ma anche dello stesso governo. In particolare la manovra finanziaria sulle province introdotta dalla l. 190/2015 si è posta in aperta contraddizione con il disegno della legge “Del Rio” sotto due aspetti: da una parte ha disposto il taglio delle risorse disponibili prima della ricollocazione delle funzioni e del correlato personale, dall’altra parte ha stabilito l’entità della sottrazione di risorse senza alcun riferimento ai fabbisogni standard necessari per lo svolgimento delle funzioni assegnate, ma sulla base dell’esigenza di fare cassa per garantire il raggiungimento dei saldi obiettivo del bilancio dello stato. La legge di stabilità per il 2016 si è posta in continuità con la precedente incrementando ulteriormente il prelievo a carico degli Enti.
Tutto ciò ha determinato due ordini di conseguenze. In primo luogo si è venuta a creare una situazione di sofferenza e di rischio generalizzato di dissesto per i bilanci delle province, documentata dalla cronaca corrente e dalla stampa specialistica (7), che ha costretto alla continua rincorsa a provvedimenti “emergenziali” sostanzialmente ispirati alla precarietà della logica del giorno per giorno: rinegoziazione dei mutui in essere e rinvio del pagamento delle relative rate, rinuncia alla programmazione pluriennale di bilancio (per il 2015 e il 2016 le province sono state autorizzate alla predisposizione del solo bilancio annuale), prepensionamenti dei dipendenti, etc. (8) (9). In secondo luogo, ed è questo in prospettiva l’elemento più preoccupante, si è determinato un gravissimo e forse irrimediabile indebolimento della struttura organizzativa e della capacità operativa delle Province: in luogo dell’ordinato e razionale processo di ricollocazione di risorse umane e finanziarie a seguito della ricollocazione delle funzioni, cui avrebbe potuto far seguito un riassetto organizzativo e finanziario, come ipotizzato dalla Del Rio, si è prodotto nei fatti un esodo che solo in parte ha potuto essere governato, frutto sia dei necessitati provvedimenti di prepensionamento di parte dipendenti sia della mobilità verso altri Enti di altri spinti dalle incerte prospettive.
Le prospettive dopo la riforma costituzionale
In questa situazione, dopo il ritardo iniziale, le leggi regionali di attuazione della L. 56/2014, anche su sollecitazione di norme nazionali che hanno introdotto la previsione del commissariamento in caso di inerzia, sono state approvate in tutte le regioni a statuto ordinario, ad eccezione del Lazio, nella quale esiste un progetto di legge ancora in itinere. La scelta praticata dalla maggior parte delle Regioni prevede l’accentramento in capo alle Regioni delle principali funzioni ricollocate: rientrano tra queste Toscana, Liguria, Lombardia, Umbria, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e la proposta di legge del Lazi0 (10). L’Emilia Romagna ha accompagnato l’accentramento delle funzioni in capo alla Regione con un ambizioso tentativo che punta ad affermare un modello di governance territoriale multilivello; ciò anche attraverso la previsioni di sedi di concertazione preposte ad assicurare il concorso effettivo delle aree vaste metropolitana e provinciali alla definizione delle strategie territoriali. Piemonte, Veneto e Molise hanno invece confermato le funzioni precedentemente conferite alle Province. In alcuni casi sono anche state anche introdotte aperture verso una revisione degli attuali perimetri, in un’ottica che traguarda più o meno esplicitamente alla nuova fase che si aprirà alla conclusione del processo di revisione costituzionale in itinere. Il Piemonte ha accompagnato la ricollocazione delle funzioni con l’individuazione di quattro ambiti ottimali sovra-provinciali nei quali la gestione delle funzioni riordinate dovrà avvenire in forma associata; in Emilia Romagna è stata prevista la perimetrazione di ambiti ottimali per la gestione associata delle funzioni di area vasta di intesa tra Regione e Province. In Lombardia, nonostante la legge di riordino non contenga previsioni in tal senso, è stata avanzata dall’attuale Presidente della Regione l’ipotesi di una futura riorganizzazione dei perimetri per le funzioni di area vasta sulla base di otto cantoni.
Il tema della configurazione degli ambiti per lo svolgimento delle funzioni di area vasta, che oggi si è posto come abbiamo visto solo in alcune Regioni, è probabilmente destinato a riproporsi in misura più ampia successivamente al compimento della riforma costituzionale, che aprirà la strada alla possibilità di una modifica complessiva degli Enti attuali, sia sotto l’aspetto funzionale che sotto l’aspetto territoriale.
In realtà, tuttavia, il tema del “ritaglio” degli ambiti cui riferire la gestione delle funzioni di area vasta è solo uno dei profili che dovrebbe essere preso in considerazione; e forse neppure il più importante (11) o comunque non il primo da affrontare in ordine logico.
Sono almeno tre gli altri aspetti da considerare prioritariamente in un ridisegno dell’assetto delle funzioni di area vasta.
Il primo è che il ripensamento, in un’ottica di razionalizzazione e semplificazione, dovrebbe riguardare e coinvolgere, per essere veramente efficace, l’insieme dei soggetti pubblici, variamente configurati e denominati, che si occupano di funzioni di scala sovra-comunale. Sarebbe paradossale e certamente non coerente con gli obiettivi alla base dell’attuale processo di riforma che la semplificazione sul fronte delle Province fosse accompagnata dal permanere, o peggio ancora dall’ampliamento, di Agenzie o altri Enti derivati, magari emanazioni delle stesse Regioni, certamente caratterizzati da un grado di autoreferenzialità e da rischi di burocratizzazione non minore rispetto a quello delle Province.
Il secondo è la natura del nuovo soggetto “Area Vasta”: occorre chiarire se si intende dar vita ad una nuova soggettività amministrativa, in luogo delle attuali Province, o se invece si interpreta il concetto come un semplice livello di coordinamento tra enti (espressione di Comuni e loro Unioni) che fa riferimento a funzioni, politiche e strategie la cui titolarità è rimessa alla Regione e alla sua articolazione organizzativa.
Il terzo profilo è quello finanziario e organizzativo. Abbiamo descritto sopra come i più recenti provvedimenti finanziari abbiano privato i territori delle risorse necessarie a svolgere in maniera adeguata anche solo le funzioni fondamentali attribuite alle attuali Province. Tanto meno queste ultime possono svolgere quel ruolo di sostegno e supporto ai comuni minori che è individuato dalla L. 56/14 come potenziale linea di sviluppo degli Enti di Area vasta. Oltre certi livelli i costi per lo svolgimento delle funzioni di area vasta sono incomprimibili e la definitiva scomparsa delle Province post riforma del Titolo V della Costituzione non cambierà di una virgola questo dato di fatto, a prescindere dalla soluzione istituzionale e organizzativa che sarà individuata. Non prendere atto della situazione che si è determinata, intervenendo con una robusta correzione di rotta, penalizzerebbe soprattutto quella larga parte del territorio e della popolazione non ricompresa negli ambiti metropolitani. Situazione paradossale, e gravida di conseguenze negative nel medio/lungo termine, per un Paese che ha saputo compensare l’assenza dei fattori competitivi garantiti in altri contesti dalle grandi aree metropolitane con i tratti peculiari di un modello di sviluppo articolato e diffuso territorialmente. Un paese nel quale la debolezza della città è stata a lungo sorretta dalla forza della “provincia”.
Vittorio Silva, Direzione Generale Provincia di Piacenza
Note
(1) OECD “Rural-Urban Partnerships: An Integrated Approach to Economic Development” , 2013
(2) Basta pensare a come successive disposizioni legislative, in particolare contenute nelle varie “leggi finanziarie” hanno ridotto il grado di autonomia organizzativa finanziaria e impositiva degli Enti Locali e da ultimo alla riforma costituzionale in itinere.
(3) Per un confronto del caso italiano con Spagna e Germania si veda di Silvia Bolgherini “Navigando a vista. Governi locali in Europa tra crisi e riforme”, Il Mulino (2015)
(4) Cfr F.Merloni “Sul destino delle funzioni di area vasta nella prospettiva di una riforma costituzionale del Titolo V” pag.125, in Istituzioni del Federalismo n. 2/2014
(6) Si veda l’intervento “Dalla Provincia alla Casa dei Comuni. Il ruolo chiave del nuovo Ente di Area Vasta” di Marco Filippeschi, vicepresidente dell’Upi, presidente della Provincia di Pisa al seminario del 15 Ottobre 2015 (http://www.upinet.it/4727/istituzioni_e_riforme/dalla_provincia_alla_casa_dei_comuni_il_ruolo_chiave_del_nuovo_ente_di_area_vasta_di_marco_filippeschi_vicepresidente_dellupi_presidente_della_provincia_di_pisa)
(7) Cfr. L.Oliveri “Un buco da tre miliardi: la conseguenza della riforma della provincia”, in La Settimana degli Enti Locali, n. 10/2015 e P. Griseri “Province l’ora del caos” su Repubblica, 7/12/2014
(8) La gravità della situazione è stata evidenziata dalla stessa Corte dei Conti con la deliberazione n. 17/2015 della sezione autonomie locali contenente la relazione “Il riordino delle province aspetti ordinamentali e riflessi finanziari”
(9) A proposito dei prepensionamenti disposti dalle Province utilizzando le deroghe consentite dalla normativa rispetto alla riforma Fornero, occorrerebbe riflettere su come, se si guarda non alla prospettiva del singolo Ente ma alla finanza pubblica nel suo insieme, si tratti non di risparmi ma semmai di costi aggiuntivi: dipendenti prima pagati a fronte di una prestazione lavorativa resa ora rimangono a carico della finanza pubblica in qualità di pensionati.
(10) Accentuando così la progressiva traslazione dell’Ente Regione da Ente di legislazione/programmazione ad ente di gestione ammnistrativa.
(11) La presenza di significative economie di scala sembra assai dubbia oltre la soglia dei 350.000 abitanti: si veda a cura di L. Senn e R. Zucchetti “Una proposta per il riassetto delle Province” http://www.upinet.it/docs/contenuti/2011/12/11-12-06%20-%20UPI%20-%20Proposta%20riassetto%20province.pdf)