di: Alberto Bramanti
EyesReg, Vol.6, N.6, Novembre 2016
Il mondo delle public utility è popolato da una molteplicità di operatori (1), tra cui pochi grandi fanno il mercato e molti piccoli si contendono i territori su cui operano, spesso senza raggiungere soglie minime di efficienza (2). In un mondo in rapida evoluzione – da un lato, sotto la spinta delle tecnologie e, dall’altro, per gli effetti di una domanda in rapida evoluzione – è utile proporre tre differenti scenari di evoluzione delle società che erogano servizi di pubblica utilità a livello locale (SPUL).
Si tratta di scenari certamente non deterministici, che discendono dalle scelte che il regolatore opererà e dalla competizione per il mercato e nel mercato, con qualche ulteriore differenziazione territoriale che necessariamente discende dalla storia pregressa, dalle dimensioni rilevanti dei sistemi territoriali e dalla maturità della domanda espressa dagli utenti (Utilitatis, 2015).
Tre scenari evolutivi
Un primo scenario è quello in cui le municipalizzate (o ex–) di piccola dimensione spariscono dal mercato per la progressiva incapacità a competere con aziende di maggiori dimensioni nelle gare per l’assegnazione degli SPUL. La competizione per il mercato può divenire molto selettiva laddove i ribassi di prezzo continuano a giocare un ruolo significativo. Nel migliore dei casi – quando cioè la piccola municipalizzata ha degli asset interessanti (in termini di professionalità e di radicamento territoriale) – il suo destino può essere quello dell’acquisizione da parte di player più grandi che coprono un mercato almeno interregionale, che hanno buoni mezzi finanziari a disposizione ma, eventualmente, carenza di personale specializzato.
Un secondo scenario è quello in cui nascono delle nuove multiutility – oppure che le maggiori e più robuste utility esistenti riescono, opportunamente rinnovate, ad incorporare e utilizzare tecnologie e servizi differenti o più avanzati rispetto a quelli che conosciamo – quale risposta a una domanda urbana crescente, connessa ai rapidi cambiamenti in atto all’interno di tre grand trend che stanno modificando rapidamente l’evoluzione delle aree urbane: smart city (CDP, 2013a), green economy (CDP, 2014) e invecchiamento attivo).
Si tratta probabilmente dello scenario più stimolante – certamente dal punto di vista industriale e forse anche foriero di cambiamenti positivi e impulsi all’economia locale – ma anche più difficile da realizzare. Richiede infatti grande vision, una buona solidità finanziaria che consenta di investire sul nuovo e rimane dunque alla portata delle poche medie imprese esistenti, delle multiutility con mercati di riferimento almeno inter-regionali (Agici, 2015).
Un terzo scenario è probabilmente il più preoccupante per i territori implicati. In questo scenario il mercato dei nuovi bisogni emergenti (siano essi economici, ambientali o sociali) viene catturato da grandi player internazionali provenienti da altri settori – Google, Amazon, Huber, ecc. – in forza delle loro competenze tecnologiche, disponibilità finanziarie, capacità di intercettare la domanda grazie alla propria abilità nella gestione del contatto cliente (il mondo rischia di essere dei venditori più che dei produttori).
Dentro questi scenari – fluidi e soggetti al gioco incrociato delle regole e della concorrenza di mercato – torna prepotente la domanda circa i destini delle municipalizzate, e cioè se esse siano in grado o meno di modificare anche radicalmente le proprie prospettive e svilupparsi, ossia evitare il primo e il terzo scenario e provare a collocarsi nel secondo, che consente una loro rivitalizzazione (Gilardoni, 2015).
Il ruolo degli SPUL e quello delle PA
Le condizioni esistenti, finanziarie, di governance, di specializzazione produttiva, di dimensione, indurrebbero a dare una risposta negativa. D’altra parte vi sono anche opportunità e vantaggi di posizione che le utility territoriali potrebbero sfruttare anticipando il prevedibile ingresso di altri operatori, internazionali. Si fa qui riferimento, in particolare, a quelle società che – per dimensione, vision, posizionamento di mercato – avrebbero effettive possibilità di evolvere investendo e prestando più attenzione ai clienti, offrendo soluzioni innovative, legate innanzitutto al risparmio energetico e all’ambiente. I mercati potenziali esistono, e certamente anche le risorse: basta creare le condizioni affinché vengano attratte (Gilardoni, 2015).
Molte utility italiane stanno ridisegnando il proprio futuro in uno scenario complesso (Agici, 2015). Il compito non è semplice perché i debiti elevati offrono pochi margini di manovra e l’attuale bassa redditività non presenta prospettive di crescita significative.
Le debolezze maggiori delle utility territoriali sono certamente un debole assetto finanziario (Scarpa et al., 2009) – che non consente gli investimenti necessari per stare al passo coi rapidi cambiamenti di mercato – ma anche, e forse soprattutto, una gestione manageriale non all’altezza delle sfide che si prospettano. I settori e le fasi regolate sono ovviamente più “sicure” e finiscono per divenire il mercato captive per molte utility territoriali che non riescono ad intraprendere sentieri di cambiamento rapidi e significativi. Presentano infatti un minor rischio imprenditoriale, protette – ma ancora non per molto – da assegnazioni del servizio al di fuori di procedure di evidenza pubblica. I contesti a più forte concorrenza impongono capacità innovative che consentano di posizionarsi sulla frontiera ed esigono capacità culturali e manageriali più difficili da ipotizzare nelle ex-municipalizzate.
Rimane, certo, un grande spazio per alleanze e fusioni (Mori, 2015), anche orientate all’ideazione e gestione di nuovi servizi per il territorio. È bene peraltro non farsi eccessive illusioni circa gli assetti di governance. Nelle fusioni comanda sempre il più forte e occorrerà pertanto mettere a punto contratti di servizio “dinamici”, con meccanismi di revisione periodici che consentano di garantire al proprio territorio la qualità e l’innovazione dei servizi erogati.
In tema di nuovi servizi le sperimentazioni sono parecchie anche se ancora si fatica a trovare modelli che siano economicamente sostenibili (TEH-A, 2015): dal trasporto elettrico on demand (CDP, 2013b), all’illuminazione pubblica a led; dall’efficienza energetica negli edifici, allo sviluppo della generazione distribuita e delle reti locali (smart grid), dalla gestione delle bande larghe e ultra larghe, alle autostrade ciclabili.
Ecco che gli SPUL che rispondono pro-attivamente ai bisogni del territorio possono contribuire non poco alla qualità dei servizi offerti, all’innovazione nei, e alla sperimentazione di, nuovi servizi, alla qualità dell’ambiente urbano e insediativo esercitando un’attrattività non effimera su persone, idee imprenditoriali e capitali provenienti dall’esterno.
Un compito fondamentale rimane però in capo alla Pubblica Amministrazione che di questi servizi sono i compratori e, in parte, anche i regolatori. Un ruolo forte di pianificazione strategica per il proprio territorio che dovrà trovare modalità di coordinamento anche operativo, prerequisito essenziale per sviluppare delle vere smart city.
Questa azione di supervisione e di raccordo operativo tra i differenti gestori potrebbe anche divenire il nuovo ruolo di alcune delle ex-municipalizzate, troppo piccole per continuare ad essere anche provider multilivello (Bramanti, Silva, 2016). La sfida, per chi tra loro vorrà candidarsi a tali ruoli, è di avere competenze tecniche e un management adeguato per svolgere questi nuovi ruoli, reinventandosi un posizionamento radicalmente differente a sostegno i propri territori.
Alberto Bramanti, CERTeT-Bocconi
Riferimenti bibliografici
Agici (2015), Utility e competitività dei territori. Fattori abilitanti e strategie per il nuovo sviluppo. Osservatorio sulle alleanze e le strategie nel mercato pan-europeo delle utilities. Executive Summary. [http://publishing.agici.it].
Bramanti A., Silva F. (2016), Utility e servizi pubblici locali. Scenari di cambiamento e loro ruolo nello sviluppo territoriale. WP N. 9, Nuova Serie, CERTeT, Università Bocconi, Milano.
CDP (2013a), Smart City. Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento. Report monografico, N. 1, Settembre, Cassa Depositi e Prestiti, Roma.
CDP (2013b), Mobilità urbana. Il trasporto pubblico locale: il momento di ripartire. Studi di Settore, N. 4, Novembre, Cassa Depositi e Prestiti, Roma.
CDP (2014), Rifiuti. Obiettivo discarica zero. Studi di Settore, N. 5, Febbraio, Cassa Depositi e Prestiti, Roma.
Gilardoni A. (2015), a cura di, Public Utilities e infrastrutture. Profili economici e gestionali. Agici, Publishing Division, Milano.
Mori P.A. (2015), “Le ragioni economiche della cooperazione di utenza nella gestione dei servizi pubblici”. Sacconi L., Ottone S. (2015), a cura di, op. cit., pp. 215-234.
R&S (2015), Economia e finanza delle principali società partecipate dai maggiori enti locali (2006–2013). Mediobanca, Milano.
Scarpa C., Bianchi P., Bortolotti B., Pellizzola L. (2009), Comuni SpA. Il capitalismo municipale in Italia. Il Mulino, Bologna.
TEH-A (2015), Città metropolitane: il rilancio parte da qui. Progetto Smart City per Anci in collaborazione con Intesa SanPaolo. The European House–Ambrosetti, Milano.
Note
(1) Il presente lavoro nasce all’interno del Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio”[http://economia.uniroma2.it/dmd/crescita-investimenti-e-territorio/]. L’autore desidera ringraziare Francesco Silva con cui ha scritto il lavoro (Bramanti, Silva 2016) all’origine della presente nota e i partecipanti alla sessione della XXXVII Conferenza Nazionale AISRe dove è stato presentato
(2) Mediobanca (R&S, 2015) svolge un’indagine dettagliata sulle maggiori 440 società di servizi pubblici locali, che producono il 50% del totale e occupano il 48% dei dipendenti (dato 2013). Gran parte del fatturato deriva da quattro società (quotate) – A2A, Hera, Acea, Iren –, e in larghissima prevalenza da elettricità e gas.