di: Benito Giordano, Lidia Greco
EyesReg, Vol.7, N.3, Maggio 2017
Sono diverse le evidenze e le riflessioni preliminari che possono essere condotte sul processo di valutazione ex-post dei programmi di cooperazione territoriale europea (CTE) (2007-2013) (1).
Una prima evidenza rivela un processo di convergenza tra i singoli programmi di cooperazione regionali, che rispondono in maniera piuttosto omogenea alle sollecitazioni provenienti dal livello comunitario. Emerge, inoltre, la specificità spazio-temporale della cooperazione transfrontaliera: si va da casi di cooperazione consolidata, con elevati livelli di coordinamento delle politiche, a casi di interazione nascente tra le istituzioni locali.
Altre riflessioni attengono alla valutazione. Innanzitutto, la specificità dei programmi di CTE rispetto ad esempio ai programmi FESR pone una questione di misurazione dei risultati (2). A nostro avviso, in questi casi la sola analisi quantitativa riguardante i risultati, le realizzazioni e l’impatto risulta inadeguata a ‘catturare’ le relazioni causali che spiegano come e perché alcuni programmi funzionano e altri meno, o a mettere a fuoco i meccanismi della cooperazione, analizzando ad esempio il comportamento degli attori e le loro strategie. Un ulteriore aspetto riguarda, come si vedrà, la sfasatura tra il ciclo delle politiche e il ciclo della valutazione.
I principali risultati dell’analisi valutativa
Conosciuto come Interreg, l’obiettivo principale dei programmi di cooperazione territoriale europea è promuovere uno sviluppo socio-economico e territoriale armonioso nell’Unione. Interreg A ha come focus la cooperazione transfrontaliera; Interreg B quella transnazionale, mentre Interreg C promuove la cooperazione interregionale. Per il periodo 2007-2013, il bilancio totale del programma ammontava a quasi 9 miliardi di euro.
Dall’analisi effettuata emergono alcune riflessioni preliminari.
Innanzitutto, è apparso evidente che le priorità stabilite a livello europeo stanno producendo un processo di convergenza tra i singoli programmi operativi che, in ultima analisi, tendono ad assomigliarsi tra loro. La stessa definizione degli obiettivi– che traduce la capacità degli attori locali di affrontare le esigenze delle regioni in cui operano fissando le finalità territorialmente specifiche dei processi di cambiamento socio-economico – risulta estremamente omologata.
Un’ipotesi per comprendere tale fenomeno rimanda alle pressioni istituzionali che influenzano le decisioni degli attori sociali e il corso delle loro azioni. A questo proposito torna utile il lavoro di DiMaggio e Powell sull’isomorfismo (1983). Nel nostro caso specifico, la convergenza rilevata tra i singoli programmi sembra essere il risultato di un mix tra pressioni coercitive e pressioni normative. Nel primo caso, è la definizione di norme e standard specifici (in questo caso a scala nazionale ed europea) che le organizzazioni devono seguire per ottenere benefici a spingere gli attori a conformarsi. L’isomorfismo normativo, invece, deriva da istituti di istruzione e reti professionali che trasferiscono norme e comportamenti agli individui che, a loro volta, tendono a lavorare e si comportano in modo analogo all’interno delle diverse organizzazioni. Infine, occorre considerare che la definizione e l’approvazione dei programmi operativi passa attraverso un processo di verifica a più livelli che coinvolge regioni, Stati membri e Commissione europea: anche questo tende a incoraggiare forme di isomorfismo organizzativo. È opportuno sottolineare che le pressioni isomorfiche registrate non riguardano soltanto gli obiettivi generali dei programmi, ma finiscono con l’influenzare le azioni intraprese, le iniziative realizzate e, in ultima analisi, le realizzazioni a livello locale e regionale. Si verifica quindi che aree transfrontaliere con risorse socio-economiche e istituzionali profondamente diverse tendono a mettere in atto interventi analoghi. Ciò significa che la ‘torsione locale’ di questi programmi è relativamente limitata; gli attori hanno difficoltà a forgiare interventi territorialmente specifici e ‘dal basso’ che permettano di adeguare il programma rispetto a bisogni e ad aspirazioni specifici.
In secondo luogo, emergono interrogativi sulla necessità di valorizzare il sistema della governance multilivello. L’analisi preliminare ha messo in evidenza una tensione tra gli obiettivi strategici definiti centralmente e le specifiche sfide che i territori si trovano ad affrontare. La complessità delle dinamiche contemporanee che vedono l’interdipendenza (co-variazione) dei processi articolati alle diverse scale (vale a dire sovranazionali, nazionali, regionali e locali) sollecita a prendere in considerazione sia queste diverse scale che i diversi livelli di regolazione che da esse derivano, intersecandosi. In questo quadro, il ruolo dello Stato continua a rimanere centrale sia come contenitore di rapporti socio-economici tradizionali sia come interfaccia delle scale sub-nazionali e sovra-nazionali (Sassen, 2007). Lo Stato ri-articola il suo ruolo di gatekeeper di nuovi compromessi istituzionali nel quadro di mutazioni strutturali delle relazioni inter-organizzative (Gualini, 2006; Hooghe 1996): la nuova configurazione è organizzata verticalmente, su relazioni sub-nazionali e sovra-nazionali, e orizzontalmente tra attori, individuali e collettivi, alla medesima scala. Insieme agli Stati membri e alle istituzioni dell’UE, le regioni e le autorità locali sono attori fondamentali nell’attuazione della politica di coesione dell’Unione, anche in ragione della notevole esperienza accumulata nel tempo. Per questo motivo, il maggiore beneficio da trarre dai programmi di CTE dovrebbe essere una reale collaborazione multilivello tra le autorità centrali, regionali e locali.
In terzo luogo, i processi di cooperazione a livello orizzontale sono molto specifici territorialmente e path dependent: la storia della cooperazione tra le regioni conta, e alcuni meccanismi dipendenti dal percorso possono facilitare o rendere più difficili i cambiamenti (Martin, 2009; Martin e Sunley, 2006). Concretamente, vi sono casi in cui la cooperazione è ben consolidata e le autorità regionali riescono a dare un valore aggiunto distintivo alla loro cooperazione, facendo perno sul capitale fiduciario accumulato, sulle conoscenze e competenze tacite e sull’apprendimento reciproco. In altri casi, quando la cooperazione è in una fase nascente, gli attori difficilmente riescono a massimizzare i benefici della cooperazione, impegnati come sono a stabilire fiducia reciproca e codici linguistici e cognitivi comuni.
Riflessioni preliminari di policy
Altre riflessioni emergono in merito alla valutazione.
In primo luogo, è opportuno partire dalla specificità dei programmi operativi di CTE, che sono intrinsecamente diversi per dimensioni, portata e valore aggiunto dai programmi mainstream come il FESR. I programmi di cooperazione mirano ad affrontare le sfide comuni identificate congiuntamente nelle regioni frontaliere, sfruttando il potenziale di crescita inutilizzato di tali aree e, allo stesso tempo, rafforzando il processo di cooperazione per realizzare uno sviluppo armonioso dell’Unione. Da un’analisi quantitativa di risultati, realizzazioni e impatti (questi ultimi particolarmente trascurati), risulta difficile valutare l’efficacia dei programmi, soprattutto in riferimento alla loro dimensione transnazionale. I criteri solitamente utilizzati per identificare il cambiamento (efficacia, pertinenza, efficienza, impatto, sostenibilità) sono solo parzialmente adeguati a cogliere il carattere sperimentale e innovativo delle iniziative di cooperazione pure realizzate a livello locale. Anche quando vengono identificate ‘storie di successo’, il successo è definito in termini canonici: cioè in termini di spesa, conseguimento degli obiettivi, quantità di attori coinvolti. A nostro parere, sarebbe utile avanzare altri criteri, di natura qualitativa, da utilizzare in maniera complementare a tecniche di valutazione più convenzionali. Una valutazione di questo tipo avrebbe l’obiettivo di favorire un apprendimento più qualitativo dei programmi orientato, per esempio, al miglioramento delle capacità organizzative e di implementazione dei programmi o al sostegno della pianificazione, ecc. Allo stesso modo, dovrebbe essere posta maggiore attenzione al ruolo del contesto, e dei meccanismi che rendono possibile un determinato esito.
Un ulteriore aspetto riguarda la partecipazione. L’evidenza suggerisce che esistono più modi per coinvolgere le parti interessate a livello orizzontale. La definizione di alcuni programmi operativi è stata il frutto di un’intensa collaborazione tra le comunità locali con l’obiettivo di creare un programma veramente transfrontaliero, e con un valore veramente aggiunto; in altri casi, i programmi operativi sono stati definiti anche con il sostegno di società di consulenza private. Questi aspetti, pure importanti, risultano però piuttosto trascurati negli esercizi di valutazione. Allo stesso tempo, i problemi legati alla cooperazione, che in alcuni casi hanno compromesso i risultati raggiunti, rimangono sullo sfondo.
In termini più generali, emerge la necessità di cogliere le conseguenze previste ed impreviste delle azioni e degli interventi, e di poter valutare la qualità e la natura delle iniziative e delle relazioni. Ad esempio, anche se cruciale, non sembra sufficiente fornire un indicatore che indichi il numero di posti di lavoro creati, o il numero di stakeholder coinvolti, senza mettere in discussione la qualità del lavoro e le dinamiche della governance.
Infine, nelle conversazioni dirette con gli attori locali è emersa una preoccupazione generalizzata circa la tempistica della valutazione e la sua efficacia. Gli esercizi di valutazione, diventati praticamente continui, mettono sotto pressione gli uffici locali già impegnati nello sforzo di attuazione del programma. In secondo luogo, gli attori locali sollevano perplessità circa l’efficacia dell’esercizio di valutazione ex-post, poiché limita l’impatto dell’apprendimento soprattutto rispetto al successivo ciclo della programmazione. Si può quindi sostenere che se l’allineamento tra i cicli della politica, del programma e della valutazione può non essere desiderabile – e, anzi, l’esercizio di valutazione deve essere concepito come un processo che si verifica lungo un continuum -, è anche importante considerare non soltanto gli obiettivi della valutazione in sé, ma anche le esigenze degli attori coinvolti, e sottolineare i diversi obiettivi assumibili dalla valutazione stessa, quando questa assume carattere proattivo, sommativo, o di altro genere.
Benito Giordano, Università di Liverpool (UK)
Lidia Greco, Università di Bari
Bibliografia
Di Maggio P., Powell W. (1983), The Iron Cage Revisited. Institutional Isomorphism and Collective Rationality in Organizational Fields. American Sociological Review, 48, 147-60.
Gualini E. (2006), The Rescaling of Governance in Europe: New Spatial and Institutional Rationales. European Planning Studies 14(7), 889-912.
Hooghe L. (1996) Cohesion Policy and European Integration: Building Multi-level Governance. Clarendon Press, Oxford.
Martin R. (2009) Rethinking Regional Path-dependence: Beyond Lock-in to Evolution, Papers in Evolutionary Economic Geography, Utrecht University.
Martin R., Sunley P. (2006), Path-dependence and Regional Economic Evolution, Journal of Economic Geography 6, 395–437.
Sassen S. (2007), Una sociologia della globalizzazione. Einaudi, Torino.
Note
(1) Questo breve articolo presenta alcune riflessioni preliminari sul processo di valutazione ex-post dei programmi di cooperazione territoriale europea (CTE) (2007-2013). Commissionata dalla DG-Regio, la valutazione ha riguardato la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale e si è basata sia su fonti secondarie (tra gli altri i programmi operativi, le valutazioni ex ante e le relazioni annuali di attuazione) sia su alcuni casi di studio selezionati in tutta l’Unione. L’articolo è contenuto in un volume collettaneo edito da N. F. Dotti dal titolo Learning from implementation and evaluation of the EU Cohesion Policy. Lessons from a research-policy dialogue, pubblicato dalla Regional Studies Association (RSA), nel 2016. L’intero volume è disponibile nel sito della RSA, al seguente link: www.regionalstudies.org/uploads/documents/Lessons4CP.pdf
(2) In estrema sintesi, i programmi di CTE promuovono investimenti che incoraggiano la cooperazione tra le regioni; i fondi FESR sono orientati a sostenere lo sviluppo economico nelle regioni.
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Ad integrazione di quanto espresso dagli autori, vorrei proporre questo articolo, frutto di un esercizio sperimentale di valutazione condotto in Emilia-Romagna, che in parte riprende alcuni concetti esposti.
http://www.aisre.it/images/aisre/5785fa3a034515.20801274/Fioresi.pdf