di: Annalisa Campana e Lorenzo Ciapetti
EyesReg, Vol.2, N.5 – Settembre 2012.
Con il decreto legislativo 31 maggio 2011 n. 88, attuativo dell’art. 16 della legge 5 maggio 2009 n. 42, il Fondo per le Aree sottoutilizzate (FAS) ha assunto la denominazione di Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC). Lo sblocco, lo scorso giugno, delle risorse del FSC destinate alle regioni del Sud, segue la logica che, a partire dal 2011, con il Piano di Azione Coesione, ha portato a consolidare l’azione di accelerazione nell’attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013. Il Piano impegna le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi non attuati, anche attraverso la concentrazione delle risorse su alcune priorità, sempre seguendo gli obiettivi di servizio stabiliti all’interno del Quadro Strategico Nazionale. Provvedimenti che cercano di sopperire ai ritardi ed alle inefficienze riscontrate, ma che non annullano affatto il paradigma place-based introdotto nelle politiche di coesione europee (Barca, 2009).
A causa delle difficoltà inerenti la spesa degli stanziamenti aggiuntivi e in ragione delle novità introdotte a partire dal 2007 a seguito della riforma della Politica di Coesione, che ha unificato la programmazione della politica regionale comunitaria con quella regionale italiana, è stata condotta una rilevazione indirizzata ai responsabili amministrativi delle Regioni e Province autonome che hanno gestito tali risorse (1).
L’obiettivo è stato raccogliere un giudizio sulle attuali criticità riscontrate da parte delle Amministrazioni regionali e delle Province autonome nella gestione delle risorse addizionali (in particolare quelle del FAS), per esplorare criteri ed ambiti di ottimizzazione nell’assegnazione di tali fondi nei prossimi periodi di programmazione, in termini territoriali, di efficacia, economicità e di valorizzazione delle capacità regionali e locali.
Il passaggio della programmazione 2000-2006 a quella 2007–2013 ha segnato uno snodo cruciale per la capacità delle Amministrazioni centrali, regionali e locali di adeguarsi ad una concezione integrata delle politiche, come del resto richiesto dalla Politica di Coesione europea.
Sono almeno tre gli elementi di fondo di questo passaggio su cui riflettere anche in vista dello scenario delle politiche regionali post 2013.
Il primo elemento riguarda le due dimensioni complementari (verticale e orizzontale) della governance multilivello. Nell’attuale fase di programmazione, l’integrazione tra Fondi Strutturali (FS) e FAS è un elemento apprezzato, ma richiede capacità nuove e talvolta anche un salto culturale degli apparati amministrativi. Ad un impianto più chiaro sulle responsabilità multilivello (2007-2013) non sempre corrisponde una chiara e costante programmazione statale delle risorse e, pertanto, i ritardi di erogazione dei fondi FAS hanno compromesso il funzionamento dell’articolazione decentrata, frenando la capacità delle Regioni di portare a termine la fase di governance del processo con i livelli locali. Al di là del ritardo delle risorse, persistono poi elementi di distinzione, nell’effettiva capacità di governare le relazioni con i diversi livelli amministrativi e con gli attori sociali ed economici, tra le Regioni del Centro-Nord, dove la prassi sembra essere consolidata e quelle del Sud, più in ritardo in particolare sul dialogo con gli attori locali.
In generale le Regioni del Centro – Nord danno giudizi più positivi sulle fasi di governance: 68% contro il 57% del Sud. Nel periodo di programmazione 2007-2013 le Regioni meridionali hanno potenziato i processi di governance grazie all’apprendimento istituzionale e al miglioramento dei procedimenti (l’elaborazione del Documento Unico di programmazione ad esempio, che, con il coinvolgimento degli Enti locali territoriali e delle parti economiche e sociali, esplicita la strategia regionale per l’attuazione della Politica Regionale Unitaria), ma i ritardi e l’incertezza nell’erogazione delle risorse hanno pervaso il quadro di riferimento. Rimane, inoltre, un maggior gradimento del Centro-Nord sulle capacità di relazionarsi col partenariato sociale (100%) rispetto al Sud (60%).
Un secondo elemento è fornito dalla necessità di consolidare su tutti i livelli le “capacità amministrative”, permettendo ai territori con capacità di governance più evolute (laddove dinamiche multiarena, multiattore e multisettore hanno già permesso di instradarsi su azioni che superano i confini tradizionali del government), una maggiore devoluzione decisionale e finanziaria (gli strumenti di attuazione diretta vanno in questa direzione), accompagnando gradualmente gli altri verso lo stesso risultato (anche con un maggior intervento centrale come nei nuovi contratti istituzionali di sviluppo).
Ma il quadro è complicato dal deficit strutturale soprattutto delle realtà amministrative locali più piccole, con limitate risorse organizzative. Questo deficit, in una impostazione istituzionale decentrata, rischia di creare un blocco attuativo anche in presenza di capacità amministrative regionali ottimali.
Il terzo fattore è la necessità di integrare le politiche, dal punto di vista sia settoriale che territoriale. Nella letteratura si usa distinguere tra tre diversi modelli di integrazione: della specializzazione strutturale che di fatto concentra su una struttura ad hoc la gestione dei programmi; della “frammentazione funzionale”, per cui il raccordo avviene ma a strutture invariate; di “esternalizzazione”, nel quale il compito di formulazione e implementazione delle politiche è delegato a enti e agenzie esterne (Prontera, 2010). In tutti questi casi, però, il limite è rappresentato dagli elevati costi di transazione, insiti nelle azioni di integrazione.
Nell’adeguamento organizzativo intrapreso dalle Amministrazioni regionali, nel contesto della nuova programmazione unitaria, prevale lo strumento della cabina di regia. Tale strumento tuttavia, non garantendo il superamento delle competenze distinte, è una soluzione che possiamo definire “ibrida”, ancorché maggioritaria tra le Regioni (per il 43% di quelle del Sud e per il 46% di quelle del Centro-Nord).
Si aggiunga che, nel periodo di programmazione 2007-2013, i ritardi e l’incertezza nella messa a disposizione delle risorse, nei casi in cui non hanno prodotto uno slittamento nella progettazione, hanno causato difficoltà per la mancata continuità di coordinamento interistituzionale e nell’integrazione fra risorse statali settoriali. Il risultato ha prodotto un basso livello d’integrazione tra i progetti realizzati facendo optare, in diversi casi, per azioni di più corto respiro, più limitate, e sulle quali è più semplice pervenire ad accordi, quando non addirittura ad optare per progetti “già pronti”.
Sono soprattutto due le domande che, in vista di un nuovo periodo di programmazione, possono essere sollevate sulla base di questa valutazione in itinere.
La prima domanda si concentra su ciò che ha agevolato l’efficacia delle politiche regionali del periodo di programmazione 2007 -2013.
Secondo i responsabili regionali interpellati, i cambiamenti più apprezzati dell’attuale periodo di programmazione FAS, riguardano principalmente l’introduzione della programmazione settennale, accompagnata da una governance ed un sistema di monitoraggio e valutazione assimilati a quella dei Fondi strutturali.
Ragionare su una logica di interventi pluriennale agevola un migliore coordinamento tra attori e la concentrazione su azioni strategiche territoriali. Al contempo, l’introduzione di strumenti di attuazione diretta (particolarmente apprezzati dalle Regioni del Centro-Nord), che facilitano e semplificano gli interventi, così come l’istituzione dei Contratti istituzionali di sviluppo per gli interventi prioritari e/o di maggiore complessità attuativa (in particolare per il Sud, dove accelerano la realizzazione degli interventi e assicurano la qualità della spesa pubblica), agevolano l’implementazione delle azioni.
La seconda domanda è relativa ai criteri di regolazione delle politiche regionali che potrebbero essere inseriti per migliorarne l’efficienza e l’efficacia.
Per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e coesione, i nuovi criteri di funzionamento dovrebbero guardare (per la metà dei referenti amministrativi) alla realizzazione di “Progetti di investimento efficienti che coinvolgano più enti sulla base di aree adeguate di intervento”. È un principio che mette in evidenza e cerca di superare due limiti: l’inadeguatezza strutturale degli Enti Locali più piccoli e la separazione settoriale delle politiche. Secondariamente viene posta rilevanza al coinvolgimento del partenariato economico sociale per la condivisione delle scelte effettuate, attraverso risorse private in aggiunta a quelle pubbliche. Una ulteriore preferenza propone una visione unitaria della politica regionale imponendo di considerare in modo integrato, rispetto alle esigenze di sviluppo, interventi ordinari e aggiuntivi. Si richiama poi una premialità di spesa per enti virtuosi che dovrebbe concedere maggiore autonomia ai territori che dimostrino di essere in grado di gestirla.
La rilevazione consegna un quadro di luci e ombre nel rapporto tra Stato e Regioni per ciò che riguarda i meccanismi della nuova politica regionale. Non è possibile esplorare in questo breve articolo il tema del “federalismo cooperativo” introdotto dalla riforma del Titolo V della Costituzione, né tantomeno approfondire il tema degli effetti deludenti che la riforma del Titolo V ha avuto sul modello di neoregionalismo in Italia (si veda Baldi, 2009). Sicuramente, però, l’impianto della nuova politica regionale necessiterebbe di alcune correzioni. Il quadro che emerge dall’indagine permette di ipotizzare due ambiti cruciali per la definizione di un nuovo orizzonte di programmazione delle politiche regionali.
Innanzitutto la vera sfida è quella di conciliare il ruolo cardine delle Regioni con una maggiore integrazione delle politiche sia in termini settoriali che su scala territoriale.
Dalla prospettiva di integrazione territoriale, le Regioni sembrano prediligere forme di coordinamento pluriennale con il livello centrale, ma con la possibilità di definire gli strumenti di coordinamento all’interno dei territori regionali. Questo ruolo di “cerniera” delle Regioni potrebbe essere sfruttato per incentivare il coordinamento su scala regionale delle risorse aggiuntive (il nuovo FSC), verso progetti rivolti ad ambiti sub-regionali (interventi place-based), con l’introduzione di soglie di efficienza tecnica nelle politiche di sviluppo, anche con un chiaro riferimento al processo di riordino amministrativo sancito con il Decreto Legge n. 95 del 6 luglio 2012. Questo potrebbe portare all’adozione di logiche di scala (e quindi ad una maggiore efficienza) nell’erogazione delle risorse regionali per la coesione e lo sviluppo.
In secondo luogo, emerge una conferma all’esigenza di interventi differenziati di supporto alle capacità amministrative delle diverse regioni. Il tema del Capacity building differenziato è già stato messo in evidenza (Milio, 2011). Le capacità delle singole Regioni divergono sulla base di diversi fattori (gestione, programmazione, monitoraggio e valutazione) e il grado di coinvolgimento “deriva in gran parte dall’adeguatezza e validità del sistema politico-amministrativo regionale” (Milio, 2011). Pur non avendo la possibilità di valutare complessivamente il periodo di programmazione in corso, si può affermare che occorre potenziare le capacità amministrative delle Regioni in modalità selettiva, permettendo agli attori locali di sviluppare le competenze già presenti e competitive e di ripensare e ridisegnare quelle obsolete o inefficienti.
I due ambiti di azione individuati, se inseriti nella riforma del FSC, potrebbero rafforzare sia il coordinamento tra Stato e Regioni, sia quello intra-regionale tra Regioni e Enti Locali e contribuire a ridurre le disparità delle Regioni nella capacità di gestire le risorse per lo sviluppo. In tempi di revisione della spesa pubblica e necessità di fare ripartire lo sviluppo del paese, con particolare riferimento al Sud (Trigilia, 2012), si tratta di due indicazioni importanti per un nuovo orizzonte possibile delle politiche regionali in Italia.
Annalisa Campana e Lorenzo Ciapetti, Centro di ricerca Antares, Università di Bologna, sede di Forlì
Riferimenti bibliografici
Baldi B. (2009, “Il federalismo competitivo: l’Italia in prospettiva comparata”, Teoria politica, XXV, n. 2, pp. 95-126.
Barca F. (2009), An Agenda for a Reformed Cohesion Policy. A Place-Based Approach to Meeting European Union Challenges and Expectations, 2009, scaricabile all’indirizzo:
http://www.eu-territorial-agenda.eu/Related%20Documents/report_barca_v0605.pdf
Milio S. (2011), “Il processo di capacity building per la governance delle politiche di sviluppo e il ruolo della capacità amministrativa nell’implementazione della politica di coesione”, Rivista giuridica del Mezzogiorno, n. 3-2011.
Prontera A. (2010), “L’impatto dell’Europeizzazione sull’amministrazione e sullo stile di policy regionale: il caso delle Marche”, RF Sviluppo, Ricerca e Formazione per lo Sviluppo del Territorio.
Trigilia C. (2012), Non c’è Nord senza sud. Perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno, Bologna, Il Mulino.
Note
(1) Rilevazione realizzata con l’ausilio di un questionario strutturato, tra ottobre e dicembre 2011, all’interno di un più ampio progetto di ricerca sulle politiche regionali nazionali, in coordinamento con il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica – Direzione Generale per la Politica Regionale Unitaria Nazionale. Dei 18 questionari compilati, 8 sono del Nord (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Veneto, Valle d’Aosta, Provincia di Bolzano e Provincia di Trento), 7 del Sud (Abruzzo, Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Sicilia, Molise), 3 del Centro (Toscana, Marche, Umbria).