di: Roberta Tresca
EyesReg, Vol.4, N.1 – Gennaio 2014.
La globalizzazione dei mercati genera una sostanziale evoluzione dei concetti di concorrenza, di settore e di delimitazione dei confini settoriali. Nei mercati chiusi e statici la concorrenza viene intesa come antagonismo tra imprese: due imprese concorrenti sono rivali in quanto, essendo in competizione nel soddisfare la stessa domanda, si sentono l’una minacciata dal comportamento dell’altra in merito al presidio del medesimo mercato. Le imprese che si muovono in una condizione di concorrenza si trovano, inoltre, a competere all’interno di spazi caratterizzati da relativa stabilità, con confini territoriali ed amministrativi ben circoscrivibili, e la cui struttura è in grado di influenzare le strategie d’impresa. In simili contesti il settore, com’è noto, diviene lo strumento manageriale privilegiato per studiare il funzionamento del luogo economico in cui si realizza il confronto concorrenziale ed analizzarne l’andamento delle dinamiche interne. I comportamenti manageriali adottati per acquisire un vantaggio competitivo in simili circostanze sono protesi per lo più al conseguimento o di un vantaggio di costo (a parità di prodotto offerto) o, in alternativa, alla collocazione sul mercato di un’offerta fortemente differenziata rispetto a quella del competitor. Passando dai mercati chiusi ai mercati globali, la competitività tra imprese tende ad assumere un significato sempre più prossimo alla collaborazione/cooperazione, abbandonando quello di antagonismo/rivalità.
Per le imprese operanti in contesti globali il ricorso alla collaborazione diventa il viatico privilegiato (e per certi versi obbligato) per fronteggiare al meglio le sfide poste dal dinamismo e dall’apertura globale. In contesti competitivi in cui gli spazi concorrenziali sono sempre meno circoscrivibili, l’aumento della tensione competitiva da un lato e della complessità/instabilità sistemica dall’altro, subordinano la realizzazione e la difesa del vantaggio competitivo all’attivazione di politiche aziendali protese inevitabilmente verso la creazione di una fitta rete di relazioni di cooperazione e di collaborazione con fornitori, clienti, co-makers, partners esterni, fino a comprendere a volte anche i concorrenti. In buona sostanza le imprese, non potendo più fare affidamento in via esclusiva sulle proprie risorse, conoscenze e competenze, sono costrette ad adottare condotte gestionali molto flessibili, che coinvolgono più imprese e che originano strutture complesse, articolate, diffuse e fortemente interconnesse (Brondoni, 2010).
Reti d’impresa e dimensione aziendale nei mercati globali.
L’agire sui mercati globali conduce ad inevitabili riflessioni in merito alle dimensioni aziendali ed alla presenza di una cultura manageriale orientata alla crescita ed alla condivisione.
La logica economica del “piccolo è bello”, su cui si è incardinato il modello di sviluppo del nostro Sistema Paese negli anni Ottanta, non si configura più idonea a garantire alle imprese di dimensioni ridotte di rimanere competitive nella nuova economia globale.
Essere “più grandi” è una precondizione per innalzare la competitività aziendale, intesa anzitutto come capacità di investire in R&S, di produrre innovazione di processo e di prodotto, attraverso investimenti continui nella generazione di risorse cognitive. La propensione ad investire in ricerca, e a generare conseguentemente innovazione è, infatti, una funzione crescente delle dimensioni aziendali: cioè, cresce sistematicamente passando dalle piccole alle medie e alle grandi imprese, in virtù della maggiore produttività e redditività associabili alla grande dimensione.
Tra i percorsi prioritari che portano ad “essere più grandi” e ad un recupero accelerato sul fronte della competitività emerge, com’è noto, il ricorso ad operazioni di fusioni e/o incorporazioni o ai gruppi di imprese.
Tale via, se si configura come facilmente percorribile dalle imprese di grandi dimensioni, appare di più difficile praticabilità per le PMI, a meno che non sia sostenuta da interventi mirati di politica fiscale e finanziaria. Peraltro un accrescimento dimensionale, perseguito attraverso le suddette operazioni straordinarie, potrebbe comportare una riduzione del grado di flessibilità e di adattamento delle imprese di fronte ai repentini e sempre meno prevedibili mutamenti ambientali che influenzano la dinamica dei mercati.
Una percorso alternativo è da ricercarsi nel ricorso a forme infra e inter aziendali di varia natura, nell’ambito di reti globali di imprese, che consentono, in modo rapido e senza perdere le specificità proprie della singola unità partecipante, un potenziamento della struttura competitiva dell’impresa stessa. Nello specifico la partecipazione a queste reti si traduce nell’attivazione di: scambi/condivisione di tecnologie, beni e servizi, transazioni finanziarie, movimenti di persone e di fattori produttivi, materiali ed immateriali.
Il valore aggiunto in termini di competitività generati dall’appartenenza ad una rete è dunque da ricercarsi nel fatto che le reti possono consentire alle imprese di specializzarsi reciprocamente, essere più creative e condividere le conoscenze (tecnologiche, imprenditoriali ed organizzative), co-innovare, riducendo i costi e il rischio che sono ripartiti tra più soggetti, moltiplicare il valore delle idee, ampliando l’uso di conoscenze originali a più luoghi, settori e applicazioni, incrementare il livello di flessibilità ed il grado di personalizzazione.
La conoscenza condivisa: driver di competitività nei mercati globali.
Il mutare delle condizioni di contesto ambientale ha spinto le imprese ad arricchire nel tempo il proprio “armamentario competitivo” con l’inserimento di fattori nuovi in grado di fronteggiare dinamiche competitive via via più complesse. Nel corso degli anni ’60 e ’70 le imprese identificavano nel vantaggio di costo il fattore primario su cui investire per conquistare posizioni privilegiate in termini di competitività. Successivamente, in risposta ai cambiamenti ambientali, le imprese hanno abbandonato un modello competitivo che fa leva in via esclusiva sull’efficienza interna del processo produttivo, per adottare un modello market-oriented, che trova nella differenziazione di prodotto la determinante fondamentale per mantenere inalterata la propria forza competitiva.
Nel nuovo scenario globale, alla luce dell’accresciuta pressione competitiva e della dilatazione dei confini dei mercati, si assiste ad uno spostamento della leva strategica delle organizzazioni che, dai caratteri quali-quantitativi dei beni offerti, declina verso la qualificazione delle conoscenze possedute e gestite.
Il ruolo di risorsa strategica rivestito oggi dalla conoscenza è strettamente connesso all’aumento della varietà informativa attualmente necessaria alle organizzazioni per far fronte alle sfide poste dall’agire sui mercati globali.
L’esigenza di “far dialogare” la propria diversità interna con la varietà e complessità esterna è attuabile nella misura in cui coloro che partecipano all’organizzazione possiedono la varietà a ciò necessaria, il che può realizzarsi mediante una combinazione diversa, più flessibile e veloce delle informazioni e concedendo ad ogni membro dell’organizzazione identiche possibilità di accesso alle informazioni. In questa prospettiva, l’accrescimento della competitività aziendale non è funzionale al possesso di un grande patrimonio cognitivo interno alla singola unità, ma dipende dall’appartenenza ad un sistema più vasto costituito da componenti, aperte allo scambio di risorse, competenze, capacità anche con reti trans locali, sviluppando conoscenze condivise in reti globali di scambio, collaborazione e partnership.
Pertanto in una “economia globale della conoscenza”, una politica finalizzata all’accrescimento di competitività dovrà pertanto essere protesa verso l’investimento:
- in intelligenza condivisa con altri, assumendo parte dei costi che sono richiesti per rendere vitali i sistemi a cui si sceglie di appartenere;
- nella creazione di un circuito di relazione affidabile con i sistemi di riferimento;
- nella propria differenza distintiva, ossia in quel tipo di conoscenze, competenze e capacità che rende differenti e aumenta il proprio potere contrattuale sui mercati, riducendo la sostituibilità della propria prestazione cognitiva (Rullani, 2010).
Emerge, al riguardo, il ruolo di prim’ordine che vengono ad assumere le reti di imprese, dispositivo che, consentendo alla singola impresa di agire autonomamente, ma come parte (specializzata) di un sistema più grande, favorisce l’aumento di investimento in conoscenza fatto da ciascuna impresa e riesce a farlo fruttare in modo tale consentire una velocizzazione dei processi innovativi necessari alla creazione di vantaggi competitivi in un contesto globale.
Conclusioni
Pur potendo perseguire molteplici finalità, le reti di impresa possono, in ultima istanza, diventare un ottimo strumento per il rafforzamento competitivo delle PMI operanti nei mercati globali, consentendo ai singoli nodi (persone o imprese) di:
- specializzarsi reciprocamente, in modo da aumentare il bacino di uso delle conoscenze di ciascuno;
- condividere le conoscenze, in un ambiente reciprocamente affidabile;
- co-innovare, usando competenze diverse distribuendo l’investimento e il rischio tra più soggetti;
- espandere il bacino di uso di una buona idea da un luogo all’altro, da un settore all’altro, da un’applicazione all’altra (Rullani, 2010).
Pertanto è sulla capacità di “fare rete” che le PMI, devono misurarsi in competizione con le grandi, con ottima probabilità di successo se sono in grado di porre delle buone idee al servizio di un circuito di uso più grande, che esercita un effetto moltiplicatore in termini di valore.
Roberta Tresca, Università “G. d’Annunzio”, Pescara
Riferimenti bibliografici
Brondoni S.M. (2010), Risorse immateriali, Network globali e responsabilità sociale d’impresa, Symphonya Emerging Issues in Management, n, 2.
Rullani E. (2010), Network economy: evolution of small firm capitalism and on the “made in Italy” sector, Economia e Politica industriale, 4.
at 18:26
Ottima rappresentazione delle possibilità che hanno le PMI in genere ed in particolare quelle italiane di inserimento nei mercati globali in un periodo in cui la domanda interna risulta pressoché stagnante.
at 19:21
Reti d’impresa, reti di conoscenze! Questo potrebbe essere lo slogan per quelle realtà produttive che si affacciano sulle rive di quell’oceano che va sotto il nome di mercato globale.
Reti di conoscenze che implicano anche reti di cervelli che comunicano, scambiano, pensano…come tanti neuroni facenti parte di un unico grande tessuto nervoso. Non è la quantità di “materia grigia” a produrre intelligenza e creatività ma il numero di connessioni che riusciamo a stabilire nel nostro cervello che accende istinto intellettivo. Così deve essere anche per le reti d’impresa: la mia esperienza diventa la tua esperienza per essere la nostra esperienza. Mai da soli…mai come “il vecchio che affronta il mare”: a stento porterà a casa la vita.
at 11:04
Utilissima esposizione sulle possibilità delle P.M.I. di operare in un mercato globale.
at 12:09
Eh sì è vero, le logiche aziendali individualiste ormai appartengono al passato, e in un mercato sempre più globale, la rete d’imprese può essere un potente ‘strumento’ per competere con maggiore efficacia in un contesto sempre più competitivo, senza perdere la propria identità.
È vero che l’unione fa la forza ma per intraprendere con successo questa strada, l’azienda deve prima focalizzare bene i propri obiettivi e capire se questi, insieme alle proprie esigenze, coincidono realmente con quelli delle altre associate per evitare conseguenti problemi e insuccessi.
Quindi, come ogni strumento, anche questo va adottato con cognizione di causa affidandosi, ove necessario, a consulenti esperti e seri che non vedono come fine ultimo solo il proprio interesse ma il bene e il successo dell’impresa.