di: Marco Bagliani, Alberto Crescimanno, Fiorenzo Ferlaino, Daniela Nepote
EyesReg, Vol.4, N.2 – Marzo 2014.
La Green Economy (d’ora in poi GE) è definita come l’incontro tra l’impresa e la sostenibilità economica, sociale e ambientale. È un concetto che ha una storia recente e prende le mosse dai numerosi fallimenti delle conferenze ‘politiche’ dell’ONU sull’ambiente, che hanno fatto seguito al Summit della Terra, organizzato dall’UNCED (United Nations Conference on Environment and Development) a Rio de Janeiro nel giugno 1992. È la sfida dell’economia di mercato alla crisi dell’economia di mercato, alla sua insostenibilità, alla saturazione dei mercati occidentali e agli squilibri creati dalla crescita economica.
In quanto tale, la GE ha avuto momenti importanti di elaborazione a partire dal nuovo millennio:
- nel 2000 con la creazione del Global Compact Network lanciata dall’ONU, una rete di imprese finalizzata a promuovere importanti principi etici in tema di diritti umani, tutela dell’ambiente, diritti dei lavoratori e lotta alla corruzione; oggi sono più di 8000 le imprese, le associazioni, le Università e le ONG che hanno sottoscritto il codice etico volontario, in più di 130 Paesi;
- nel 2001 con il Consiglio europeo di Göteborg in cui i paesi dell’UE hanno approvato una strategia per lo sviluppo sostenibile e aggiunto una dimensione ambientale agli orientamenti politici di Lisbona 2000 per l’occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale;
- nel 2007 con il ‘World Economic Forum’, a Davos, in Svizzera, dove per la prima volta e in maniera esplicita la prestigiosa organizzazione internazionale (formata da grandi imprese, leader politici, accademici illustri e riconosciuti) ha lanciato la sfida della GE come ‘visione’ intorno cui orientare la crescita e lo sviluppo; in quella occasione Angela Merkel aprendo il Forum individuò nelle fonti energetiche e nella difesa del clima “le due più grandi sfide dell’umanità”;
- nel 2008 con il piano clima-energia 20-20-20 dell’Unione Europea, di riduzione dei gas serra del 20% rispetto al 1990, di incremento delle fonti rinnovabili fino al 20% del fabbisogno di energia ( in Italia del 17%), di aumento del 20% dell’efficienza energetica (ridotto al 17% dalla direttiva del 2012).
- nel 2010 tale concezione dello sviluppo è stata declinata nel piano strategico di Europa 2020, in cui sono state definite misure di risposta alla crisi attraverso azioni rivolte alla crescita intelligente, alla sostenibilità, alla inclusione sociale e che trovano una sintesi territoriale nella diffusione delle smart regions e smart cities. Per quanto riguarda la crescita sociale l’UE si è proposta di elevare, entro il 2020, il tasso di occupazione degli attivi (fascia 20-64 anni) dal 69% del 2010 al 75% (in Italia dal 61% al 68%), di incrementare gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione dal 2% al 3% del PIL (in Italia dall’1,26% all’1,53%), di ridurre l’abbandono scolastico (dal 14% al 10%, in Italia dal 19% al 15%);
- infine, nel 2012, un ulteriore rinforzo è venuto dai risultati della Conferenza Rio+20 in cui (insieme a un ulteriore fallimento degli obiettivi politici) si sono espresse nuove soggettività e proposte, sia nel Forum dei Popoli che nel UN Global Compact Network, che ha rilanciato i suoi dieci principi per una economia verde e sostenibile.
Il successo e la diffusione di questa nuova ‘vision’ rischia di fare della GE un “concetto ombrello” sotto cui “riparare” opinioni diverse e azioni non coerenti con i principi della sostenibilità ambientale. Secondo l’UNEP (2010) la GE è un’economia che genera “un miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale riducendo in maniera rilevante i rischi ambientali e le scarsità ecologiche”. È dunque un’economia a basso tenore di carbonio, efficiente nell’utilizzo delle risorse e inclusiva dal punto di vista sociale (UNEP, 2011). L’OECD (2010) definisce la GE come un mezzo per perseguire crescita economica e sviluppo prevenendo il degrado ambientale. Qui la componente sociale è meno enfatizzata e ci si focalizza soprattutto sulla regolazione del mercato e sugli incentivi economici volti a stimolare la ‘green growth’ o ‘crescita verde’, cioè una crescita che garantisca il mantenimento del capitale naturale, le relative risorse e i servizi ambientali sui quali si basa il nostro benessere. In ambito europeo, la European Environment Agency (EEA, 2011) adotta la definizione data dall’UNEP, specificando inoltre che la GE comprende: settori (ad esempio quello energetico), tematiche (ad esempio quella dell’inquinamento), principi (ad esempio, ‘polluter pays’, chi inquina paga), politiche (ad esempio gli incentivi economici).
Il metodo del cruscotto della green economy
Per non negare nessuna delle visioni e definizioni presenti abbiamo proposto, nel Rapporto sulla Green Economy in Piemonte (M.Bagliani, A. Crescimanno, F. Ferlaino, D. Nepote, a cura,2013), uno schema multilivello, utile per catalogare il variegato insieme di definizioni e accezioni riguardanti la GE e le diverse modalità operative che caratterizzano le analisi applicative sulla GE. Nell’analisi regionale sono state prese in considerazione sei dimensioni che sintetizzassero i diversi aspetti presenti nel concetto di GE. Le sei dimensioni della green economy ineriscono le:
- Politiche, messe in atto dalle istituzioni territoriali e che esplicita la sfera delle azioni;
- Dotazioni, infrastrutture e dotazione presenti sul territorio, che dà ragione del capitale innovativo, formativo e ambientale presente;
- Green production, che tratta della sfera produttiva e dell’orientamento della stessa al tema della sostenibilità della struttura agricola, industriale e dei trasporti.
- Green business, che si focalizza sul ‘cosa viene prodotto’ e quindi sullo scopo e risultato del processo, sul business orientato all’ambiente presente nelle regioni: si è verdi poiché l’ambiente è il business del territorio considerato.
- Comportamenti personali, dove si cerca di quantificare i nuovi stili di vita presenti sul territorio: il risparmio energetico, il riciclo dei materiali, il basso consumo.
- Green life, dove si cerca di quantificare la qualità dell’ambiente locale in cui si vive.
Si è scelto di prospettare un metodo a “geometria variabile”, costruendo un cruscotto della GE. La metodologia del cruscotto (dashboard) è stata sviluppata dai membri del gruppo CGSDI (Consultative Group on Sustainable Development Indicators) [1] per proporre un pacchetto software di libero accesso, capace di prendere in considerazione e confrontare le complesse relazioni che intercorrono tra economia, società e ambiente. Lo strumento propone al proprio utilizzatore non già un unico indice sintetico, ricavato a partire da molteplici indicatori, quanto piuttosto un vero e proprio cruscotto che, analogamente a quello di un’autovettura o di un aereo, è in grado di mostrare contemporaneamente più variabili e di confrontarle tra loro.
Le fasi principali dello studio sono state le seguenti:
- identificazione delle variabili a partire dall’analisi dei modelli precedentemente proposti e della letteratura esistente e verifica della disponibilità di banche dati a livello regionale;
- costruzione del data-set con riferimento all’anno più recente disponibile e standardizzazione dei valori;
- verifica delle eventuali correlazioni tra le variabili, per evitare che vi siano legami di dipendenza statisticamente “rilevanti”;
- costruzione degli indici sintetici per ognuna delle sei dimensioni e calcolo dell’indice sintetico finale. Questi indici formano la base di lettura del cruscotto;
- lettura dei risultati attraverso l’analisi delle classifiche (ranking) delle diverse parti del cruscotto e dell’indice finale.
Le sei dimensioni considerate (politiche, dotazioni, green production, green business, comportamenti personali, green life) sono formate ognuna da quattro indicatori, per un totale di 24 indicatori.
I risultati
L’analisi condotta [2] consente di ottenere una misura sintetica del livello di GE raggiunto da ciascuna regione. È interessante osservare che l’unica dimensione che presenta un gradiente geografico chiaro che va dal Nord al Sud è quello delle politiche, mentre appare meno consolidato, seppur presente, quello del green business. Negli altri casi il gioco del ranking diventa più complesso e tale da distribuire le regioni virtuose. In generale vi è da dire che mentre gli indicatori del Benessere Equo e Sostenibile (BES) dell’ISTAT appaiono decisamente correlati con il PIL regionale, l’Indice di GE sembra decisamente altro rispetto al PIL confermando aspetti autonomi e pregnanti del benessere ambientale che spesso sono contrastanti con la ricchezza e lo sviluppo economico e produttivo di un territorio.
Tabella 1 – Classifica regionale per l’indice aggregato di Green Economy
Regione | Indice Green Economy | Politiche | Dotazioni | Green Production | Green Business | Comportamenti Personali | Green Life |
Trentino-Alto Adige |
1 |
2 |
5 |
3 |
3 |
2 |
5 |
Basilicata |
2 |
16 |
1 |
7 |
6 |
12 |
7 |
Sardegna |
3 |
11 |
3 |
12 |
19 |
3 |
4 |
Valle D’Aosta |
4 |
12 |
4 |
9 |
5 |
20 |
1 |
Toscana |
5 |
7 |
11 |
5 |
2 |
14 |
13 |
Friuli-Venezia Giulia |
6 |
1 |
7 |
17 |
16 |
11 |
8 |
Umbria |
7 |
9 |
6 |
19 |
1 |
18 |
9 |
Liguria |
8 |
13 |
17 |
1 |
14 |
10 |
11 |
Calabria |
9 |
19 |
9 |
2 |
7 |
9 |
10 |
Marche |
10 |
15 |
16 |
10 |
8 |
7 |
2 |
Molise |
11 |
18 |
2 |
11 |
20 |
17 |
3 |
Abruzzo |
12 |
14 |
8 |
13 |
11 |
13 |
6 |
Piemonte |
13 |
6 |
13 |
15 |
4 |
8 |
17 |
Emilia-Romagna |
14 |
5 |
12 |
18 |
12 |
15 |
15 |
Lombardia |
15 |
3 |
18 |
8 |
13 |
16 |
19 |
Veneto |
16 |
4 |
19 |
16 |
15 |
5 |
16 |
Sicilia |
17 |
20 |
10 |
14 |
10 |
6 |
14 |
Lazio |
18 |
8 |
15 |
4 |
9 |
19 |
18 |
Campania |
19 |
10 |
20 |
6 |
17 |
1 |
20 |
Puglia |
20 |
17 |
14 |
20 |
18 |
4 |
12 |
Fonte: elaborazione IRES Piemonte su fonti varie
Sicuramente ricopre la prima posizione il Trentino-Alto Adige, seguita però dalla Basilicata e dalla Sardegna. Il Trentino-Alto Adige si mostra come un caso esemplare e particolare: si distingue positivamente per le politiche (2° posto), per i comportamenti personali (2° posto) e per la green production e green business (3° posto). Nel gruppo di testa emergono anche la Basilicata, la Sardegna, la Valle d’Aosta, la Toscana e il Friuli-Venezia Giulia. Il Piemonte si posiziona nella parte centrale della classifica, al 13° posto. In particolare ottiene il 6° posto per le politiche, il quarto per la green business, l’8° posto per i comportamenti personali, mentre si colloca nella parte bassa della classifica per dotazioni (13°), green production (15°) e green life (17°).
Marco Bagliani, Alberto Crescimanno, Fiorenzo Ferlaino, Daniela Nepote , IRES Piemonte
Riferimenti bibliografici
Bagliani M., Crescimanno A., Ferlaino F., Nepote D., (a cura di) (2013), La Green Economy in Piemonte. Rapporto 2013, Torino: IRES-Piemonte.
EEA (2011), Green Economy. Europe’s Environment, an assessment of assessments, Copenhagen: Rosendahl-Schultz Grafisk.
Fondazione Impresa (2012), Indice di Green Economy, Venezia: Fondazione Impresa.
GreenItaly (2011), L’economia verde sfida la crisi, Rapporto 2011, Roma: Unioncamere.
ISTAT, (2013), BES 2013. Il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma: ISTAT.
OECD (2010), Towards Green Growth, a summary for Policy Makes, Paris: OECD.
UNEP (2010), Green Economy Developing Country Success Stories, St-Martin-Bellevue: UNEP.
[1] http://www.iisd.org/cgsdi/members.asp
[2] I risultati completi e dettagliati dell’analisi possono essere esaminati nel Rapporto sulla Green Economy in Piemonte dell’Ires Piemonte http://213.254.4.222/cataloghi/pdfires/847.pdf .
at 10:28
Articolo decisamente interessante.
Dovendo attivare un piano di lavoro regione/regione, finalizzato a tasferire aziende verso la green economy, avrei piacere confrontarmi in merito e conoscere motivazioni per lo sviluppo di questo progetto.
Grazie
Marazzi
(Indirizzo e-mail rimosso e comunicato per altra via agli autori)