di: Fiorenzo Ferlaino
EyesReg, Vol.4, N.6 – Novembre 2014.
Sono ormai diversi anni che mi trovo a riflettere, in qualità di direttore editoriale della rivista on-line Politiche Piemonte, sui processi socioeconomici del Piemonte trattati prima del periodo estivo dai diversi istituti di ricerca regionali e ora aggiornati: Banca d’Italia, IRES, Ufficio Studi Unioncamere Piemonte, Fondazione Giorgio Rota, ARPA-Piemonte e (dipende dagli anni) altri istituti e fondazioni di ricerca regionali. Per inciso, questa rete di ricercatori delle discipline socioeconomiche e territoriali, che è raccolta dalla rivista Politiche Piemonte, è uno dei lasciti della conferenza AISRe di Torino del 2011 e del suo Comitato organizzativo locale.
Si ritorna, o meglio si riparte dalla crisi che non accenna a cessare. Certo, l’intensità recessiva si va progressivamente attenuando, ma il quadro complessivo regionale non appare per niente roseo. Ulteriore calo nel 2013 della produzione industriale, con un “tasso di utilizzo della capacità produttiva che si attesta intorno al 70%, inferiore ai livelli normali, anche se superiore ai valori critici della crisi 2008-2009” (IRES); crescita negativa nel 2013 del commercio, sia all’ingrosso che degli esercizi di vicinato (dati Unioncamere); calo dei consumi finali del -2,2%; calo della crescita delle imprese (tasso di crescita (iscrizioni-cessazioni) dello 0,54%); contrazione del credito, “più intensa per le imprese, soprattutto per quelle di più piccole dimensioni degli investimenti” dovuta soprattutto alla “fiacca attività d’investimento” (Banca d’Italia); riduzione delle transazioni immobiliari accompagnata da una riduzione ulteriore dei prezzi; calo dell’occupazione che scende a livelli di dieci anni fa (raggiungendo nel primo trimestre 2014 quota 12,2%) e che penalizza soprattutto i giovani e i territori metropolitani (secondo la fondazione Rota Torino rimane la provincia metropolitana con più cassa integrazione, e la terza per quota di lavoratori in mobilità). Più in generale, il PIL regionale cala del -1,8% (stime Prometeia), in linea con il dato nazionale del 2013 del -1,9%, ma meno dell’anno precedente (-2,6%).
Al di là di qualche piccola differenza nei dati (dovuta alla fonte o al periodo considerato), la lettura delle analisi dei diversi istituti mostra sfaccettature socioeconomiche diverse ma fortemente congruenti della congiuntura economica, sia per quanto riguarda gli aspetti negativi che quelli positivi. Tra questi ultimi vanno segnalati:
– l’andamento positivo delle esportazioni, che registrano nel 2013 un incremento del 3,8% e nel primo trimestre 2014 il 6,9% (secondo l’ufficio studi di Unioncamere, il Piemonte, quarta regione esportatrice, ha contribuito per prima nel 2013 a sostenere le esportazioni nazionali); del turismo (aumento delle presenze turistiche del 2,2%) e dei settori annessi, quale la ristorazione (che continua a crescere da diversi anni) e l’agroalimentare, che è l’unico settore che “ha fatto registrare una dinamica superiore alla domanda potenziale” (Banca d’Italia).
– l’incremento delle attività a medio-alta tecnologia, sebbene accompagnato dalla riduzione della dimensione media delle imprese e delle unità locali nel decennio intercensuario;
– il calo nel 2013 delle sofferenze bancarie dei debiti delle imprese rispetto agli anni immediatamente precedenti;
– il miglioramento della situazione patrimoniale delle famiglie negli ultimi mesi, con un saldo positivo tra risparmi e debiti, dopo i valori preoccupanti del 2012-13.
La crisi detta quindi le condizioni entro cui si stanno modificando i comportamenti e le modalità dell’interazione sociale. Alcune connotazioni sembrano emergere:
– primo, la coesione sociale e la qualità della vita non seguono meccanicamente l’andamento negativo del PIL, anzi, si avvertono persino segnali di miglioramento e di moderato ottimismo che fanno registrare un aumento della soddisfazione per la vita in generale; aumenta (seppur di misura) la fiducia verso il prossimo e gli atteggiamenti integrativi verso gli immigrati;
– secondo, alla diminuzione del reddito e del PIL, all’insicurezza, si risponde incrementando i risparmi delle famiglie;
– terzo, alcuni segnali muovono verso la qualità e il wellbeing, l’aumento del turismo, dell’agro-industria di qualità, la stessa ristorazione.
– Il quarto elemento che connota la situazione fa molto riflettere. E’ dato dalla polarizzazione sociale ed economica dei primi tre, cioè dall’effetto ‘clessidra’, che appare, ad esempio, nei valori immobiliari di Torino (e non solo) o nel reddito dei suoi residenti. A esso si accompagna il dato della polarizzazione territoriale che ha visto la crisi incidere (con una progressiva riduzione negli ultimi tempi) più profondamente nelle aree centrali metropolitane del Piemonte rispetto a quelle periferiche.
La situazione del Piemonte, piuttosto grave, è uno specchio (addirittura “positivo”) della situazione più generale dell’Italia. E se l’Italia piange, l’Europa certo non ride. Le politiche monetarie attuate negli ultimi tempi (l’immissione enorme di liquidità nel sistema finanziario europeo) non sembrano fornire i risultati sperati.
In questa situazione il “colpo di reni” innovativo e creativo appare estremamente difficile in una società demograficamente “matura” e soggetta ad una forte path-dependance che impedisce quel processo di distruzione creativa necessario al take-off di un nuovo ciclo. Bisogna crearne le condizioni. Le proposte non mancano: rinnovare la classe dirigente e porre fine alla corruzione, sostenere l’economia di comunità (social innovation, civic empowerment, crowdfunding, social housing, ecc.), sostenere chi vuole fare impresa innovativa e/o on-line, rinnovare i rapporti formativi e di lavoro sviluppando tecniche di empowerment del capitale umano, ecc..
Le innovazioni di prodotto e l’aumento della produttività, seppur necessarie, non sembrano cioè sufficienti a stimolare la domanda, almeno nel breve e medio periodo; appaiono essere innovazioni incrementali più che “rivoluzionarie” (nel senso di essere in grado di innescare un nuovo ciclo Kondratiev di lungo periodo). La green economy (più della Smart specialisation) può liberare risorse straordinarie (risparmio energetico, riciclo, smaterializzazione, ecc.) che alimenterebbero nuovi investimenti, ma si scontrano sia con la path-dependance tecnologica sia (soprattutto) con un blocco di interessi consolidati difficili da superare.
Nel breve periodo, lo stimolo della domanda è certamente il nodo per rilanciare la produzione e il mercato. La risposta canonica (verso cui si è mossa la Banca centrale europea) è quella di deprezzare l’euro per far ripartire le esportazioni del continente. Il Piemonte, regione tradizionalmente esportatrice, potrebbe certamente avvantaggiarsene incrementando una dinamica già in atto (le esportazioni sono in crescita da alcuni anni) che tuttavia (al momento) non ha portato la regione “fuori dal tunnel”.
Ad un livello di scala superiore, sono recenti le dichiarazioni di molti analisti che vedono un pericolo ulteriore nelle nuove politiche monetarie, cioè l’entrata della crisi europea in uno stadio strutturale superiore, dettato dalla keynesiana “trappola della liquidità”: quella fase (già sperimentata in passato) in cui un ulteriore abbassamento dei tassi di interessi (prossimi allo zero) non provoca alcun incremento della domanda e degli investimenti. Come diceva Keynes, è possibile portare un cammello all’abbeveratoio ma non lo si può costringere a bere.
Sullo sfondo di queste politiche resta da risolvere il nodo del rilancio della domanda che l’incremento delle esportazioni in Piemonte non ha prodotto. Anzi, è continuata la caduta occupazionale e dei salari. Forse bisogna guardare anche altrove, ad esempio alla frattura sociale e macroeconomica più importante prodottasi negli ultimi trenta anni: le crenature tra ricchi e poveri e tra vecchi e giovani. E’ una cattiva distribuzione della ricchezza enfatizzata dalla crisi e che fa sì che i cammelli dissetati, che stanno sul fronte dell’abbeveratoio, impediscano a quelli assetati di accedere all’acqua.
Fonte: GINI Growing Inequalities’ Impacts’ (2012)
Secondo i dati del rapporto ‘GINI Growing Inequalities’ Impacts’ (2012), l’Italia appare particolarmente compromessa in tal senso: nella distribuzione della ricchezza tra attivi giovani e attivi più maturi, la bilancia è squilibrata su questi ultimi e impedisce ai primi di impegnarsi nel mercato, di aprire attività, di rischiare. Lo stesso avviene nella distribuzione del reddito tra ricchi e poveri, il cui indice di Gini italiano è secondo solo agli Stati Uniti e impedisce agli strati meno abbienti di esprimere il proprio potenziale di domanda.
Non si tratta solo di ribadire un criterio di giustizia sociale, quanto della necessità di rilanciare la domanda aggregata per rimettere in moto un’economia stagnante da troppo tempo.
Fiorenzo Ferlaino, IRES Piemonte
Riferimenti bibliografici
G. Ballarino, M.Braga, M.Bratti, D. Checchi, A. Filippin, C.Fiorio, M. Leonardi, E. Meschi, F.Scervini (2012), ‘GINI Growing Inequalities’ Impacts’. Growing inequalities and their impacts in italy, Country Report for Italy, September.