di: Augusto Cusinato
EyesReg, Vol.4, N.6 – Novembre 2014.
L’abbandono delle politiche keynesiane in concomitanza con gli shock petroliferi degli anni ’70, a favore di un orientamento lato-offerta d’impronta marcatamente liberista, costituì l’atto finale di una contesa politico-culturale interna al mondo anglosassone, tra i sostenitori, da un lato, dell’intervento statale in economia, in virtù delle sue provate capacità di sostenere la crescita cum inclusione sociale, e coloro che, dall’altro lato, lo consideravano come il maggior ostacolo al dispiegarsi delle potenzialità imprenditoriali, innovatrici per definizione. Se, sul piano assiologico, tale esito segnò il successo della prospettiva del bene (efficienza) rispetto a quella del giusto (equità) (Carabelli e De Vecchi, 1999), su quello del dibattito economico sancì la rivincita, benché postuma, di Schumpeter rispetto a Keynes (Jessop, 1993). Focalizzata com’era sul breve periodo, la prospettiva keynesiana implicava in effetti una concezione estensiva e perciò conservativa della crescita economica, mentre quella schumpeteriana, orientata sul lungo periodo, assumeva il potere creativo/distruttivo dell’innovazione quale motore dello sviluppo. Non a caso, si è recentemente parlato di “rinascimento Schumpeteriano” (Freeman, 2007).
Questo mutamento di prospettiva non è irrilevante per le scienze (e le politiche) regionali, poiché ripropone con forza il tema della dimensione mesoeconomica. Se con questo termine si designa il ‘luogo’ dell’economia nel quale si realizzano la produzione, distribuzione e circolazione di beni economici (essenzialmente, esternalità, fiducia e conoscenza) al di fuori del mercato e dell’intervento diretto dello Stato, appare evidente come lo spostamento dell’attenzione dal meccanismo moltiplicatore/replicatore dell’investimento a quello perturbatore dell’innovazione induca a interrogarsi sulle modalità attraverso le quali; (a) la conoscenza e l’innovazione si propagano nello spazio, con ciò indicendo ulteriore innovazione; e (b) se ed eventualmente come la configurazione spaziale interviene nei processi generatori di conoscenza e innovazione.
Com’è noto, diffidando Schumpeter di concetti non empiricamente riscontrabili o non logicamente derivabili da quelli, egli risolse la prima questione nei termini della pura diffusione degli spillover informativi nello spazio, mentre rigettò la seconda in virtù dell’attribuzione della vis innovativa esclusivamente alla figura dell’imprenditore (Schumpeter, 1939). Nella sua visione, la dimensione meso è ridotta alla mera spazialità fisico-metrica (1), intesa quale canale attraverso cui l’informazione si propaga. I soggetti che eventualmente vi operano, agiscono come emittenti di spillover (talvolta, loro malgrado), ‘ponti’ per la loro diffusione e, infine, recettori: ma, qualora ne facciano uso per produrre ulteriore innovazione, la loro attività ri-entra nella dimensione micro (Dopfer, 2007).
Merita osservare come la scuola neo-schumpeteriana propenda invece per una concezione differenziata dello spazio (e della dimensione meso che vi è associata). Esso risulta infatti costellato da fonti di esternalità cognitive – sostanzialmente, le componenti della Triple Helix: imprese, entità di ricerca e istituzioni (Etzkowitz e Leydesdorff, 2000) – le quali, interagendo tra loro, generano effetti cumulativi nei processi di apprendimento e innovazione. Merita tuttavia osservare ulteriormente come i due approcci, pur condividendo un impianto cognitivista, sottendono una differente rappresentazione del processo di apprendimento (e innovazione): individualistica l’uno, relazionale l’altro. Nell’approccio neo-schumpeteriano, la conoscenza non è infatti considerata come il ‘prodotto’ di relazioni instaurate individualmente e, al limite, solipsisticamente tra soggetto e oggetto (come tipicamente accade per il solitario imprenditore schumpeteriano), bensì è il prodotto dell’interazione tra portatori di saperi e punti di vista ‘relativamente diversi’ (2) . Questo mutamento di prospettiva, anodinamente compendiato nella coppia Mode 1/Mode 2 dell’apprendimento (Gibbons et al., 1994), segna in effetti il passaggio dalla concezione fisico-metrica a quella differenziata dello spazio (e della dimensione meso).
Una volta aperta la via alla concezione relazionale dell’apprendimento, il passo è breve (benché affatto facile) tra l’interrogarsi sulla diversità delle rappresentazioni dell’oggetto esterno rese da soggetti diversi (Mode 2) e il farlo sulle condizioni e i processi che governano la formazione di tali diverse rappresentazioni (Mode 3) (3). L’interesse verso questa dimensione (che è includente delle modalità di ordine inferiore) non è peraltro nuovo, essendo teorizzato e praticato da tempo dall’ermeneutica, la psicanalisi e l’antropologia (4): nuova è, piuttosto, l’attenzione che sta suscitando nelle pratiche d’impresa, per l’inedita possibilità, cui apre, di accedere alla governance della creatività (5).
Più che una concezione relazionale, si prospetta in questo caso una concezione generativa (o topologica) della dimensione meso, nel senso che le attitudini percettive e creative si rivelano suscettibili alle condizioni di prossimità-distanza dei soggetti coinvolti e di alternanza tra le due situazioni, nonché alla componente simbolica di cui lo spazio è investito alle diverse scale (aziendale, urbana e territoriale) (Cusinato e Philippopoulos-Mihalopoulos, forthcoming). Elementi in questo senso sono rinvenibili, oltre che nel fertile ma inconcluso dibattito sulla nozione di milieu nelle scienze regionali (Cusinato, forthcoming), anche nelle nozioni, più recenti, di ‘piattaforma innovativa’ (Asheim et al, 2011), ‘reti/sistemi regionali d’innovazione’ (Cappellin e Wink, 2009; ESPON, 2012), “the Fourth Helix” (Carayannis e Campbell, 2009) o, anche, “N-Tuples of Helices” (Leydesdorff; 2012), ma tutti questi approcci si arrestano sulla soglia del riconoscimento che il Mode 3 non comporta soltanto una concezione relazionale della conoscenza, bensì uno spostamento dell’attenzione dalla realtà esterna (alla mente) ai processi e alle condizioni che ne guidano le attitudini percettive e interpretative.
Un’applicazione dell’approccio ‘Mode 3’ alla mesoeconomia è proposto da Compagnucci e Cusinato (2014). Riclassificando i Knowledge Intensive Services (KIS) secondo la base di conoscenza utilizzata (sintetica, analitica, simbolica) e le sue modalità di elaborazione (Mode 1, 2 e 3), sono state ricavate 3×3 classi di KIS. Con riferimento al caso italiano, gli autori hanno infine inferito statisticamente a quale genere di economie di agglomerazione ciascuna classe è maggiormente suscettibile. Limitandoci alle risultanze principali, ne è derivato che:
a) i KIS applicativi (Mode 1) rispondono principalmente a economie marshalliane interne agli stessi KIS;
b) i KIS creativi (Mode 2) rispondono generalmente a economie marshalliane interne ed esterne al settore, nonché a economie di urbanizzazione, in contesti di related variety;
c) i KIS dediti alla governance della creatività (Mode 3) tendono infine a operare in contesti urbani caratterizzati da unrelated variety (ovvero, milieux).
Qualora si convenga che i KIS costituiscono una componente essenziale dei sistemi territoriali creativi – the Fourth Helix? – s’intuisce che ne derivano importanti indicazioni per le politiche di configurazione dello spazio (fisico, relazionale, generativo) ai livelli aziendale, urbano e territoriale.
Augusto Cusinato, IUAV Venezia
Riferimenti bibliografici
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Note
[1] La tassonomia dello spazio economico è ripresa da Capello (2007).
[2] Da cui il tema della ‘related variety” (Asheim et al., 2011).
[3] Passaggio già prefigurato da Bateson (1972).
[4] Cfr. Ricoeur (2004), che spazia tra questi diversi dominî.
[5] Per creatività qui s’intende il congiunto tra ideazione e innovazione. Benché le due fasi siano nettamente distinguibili sul piano analitico, non lo sono nella prassi, specialmente nella prospettiva della “razionalità procedurale” (Simon, 1976).