Questo articolo è tratto dall’ intervento dell’autore alla sessione plenaria dei Rettori delle Università meridionali “Capitale umano, sistema universitario e sviluppo regionale”, tenutasi il 14 Settembre 2015 a Rende (CS), in occasione dell’ultima Conferenza Scientifica dell’AISRe, svoltasi a Rende. Considerata la rilevanza e l’attualità degli argomenti trattati, la Redazione ha ritenuto utile pubblicarlo e condividerlo con i lettori di EyesReg.
di: Vincenzo Zara
EyesReg, Vol.6, N.2, Marzo 2016
Voglio fondare il mio intervento su due considerazioni di carattere generale: una interna al sistema universitario e una relativa all’interazione del sistema universitario con gli altri interlocutori a livello nazionale, regionale e locale. In particolare, mi riferirò alla situazione della regione Puglia.
Parto da un dato molto preoccupante nel sistema regionale pugliese, che credo sia presente anche altrove, così come altri illustri relatori hanno già evidenziato: il calo drastico del numero di studenti, una vera e propria “perdita”. Sono infatti circa 20.000 gli immatricolati pugliesi, dei quali 13.000 si iscrivono in Università della nostra regione e 7.000 in altre sedi universitarie: da un’analisi effettuata risulta che questi ultimi scelgono principalmente la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Lazio, la Toscana, l’Abruzzo (e così via), con una “perdita”, appunto, del 35% di potenziale di immatricolati nella regione. Si tratta quindi di una percentuale notevole per il sistema universitario regionale pugliese, su cui si dovrebbe riflettere. Occorrerebbe cercare di comprendere le cause del fenomeno e le possibili azioni positive da intraprendere per contrastarlo.
Accanto a questa perdita significativa di studenti, la Puglia riesce ad attrarne 500/600 da altre regioni: l’attrattività è quindi 10 volte inferiore rispetto al numero di studenti perduti. Quest’ultimo dato conferma la necessità, per il sistema universitario pugliese, di immaginare formule per provare a invertire la tendenza.
Come affermato anche dal Rettore Catanoso, scegliere di fuoriuscire dal sistema regionale non è dovuto esclusivamente a un “giudizio” sulle università, ma più in genere alla valutazione delle città: alla qualità della vita offerta, alle caratteristiche specifiche delle città stesse in cui le Università sono collocate. In quest’ottica, le Università si identificano fortemente con il territorio in cui hanno sede, soprattutto se pensiamo ai servizi offerti, ai trasporti e alla logistica.
Ora, a proposito di territorio e quindi di contesto locale e regionale in cui operano le Università, viene spontaneo fare riferimento ai flussi in ingresso nella regione Puglia legati al turismo. Quest’anno si sono registrati numeri significativi di turisti che hanno scelto la nostra regione non solo nei mesi estivi ma anche negli altri periodi dell’anno, con un processo positivo di destagionalizzazione dell’offerta turistica pugliese (e del Salento nel particolare), che al di là del mare riesce a legare l’attrattività anche al paesaggio rurale, agli itinerari enogastronomici e alla scoperta dei numerosi beni culturali.
Facendo un po’ di autocritica, ci dovremmo tutti interrogare sul perché il sistema universitario non riesca a fare altrettanto. Le criticità sono legate esclusivamente a un problema di diritto allo studio, alla scarsità di risorse che la Regione impegna a favore degli studenti o è forse, anche, un problema interno al sistema universitario? Un primo passo potrebbe essere fatto nell’avviare un maggior coordinamento tra le università interessate, per esempio, nei casi in cui vi siano corsi di laurea che attraggono poco e che, magari, sono replicati in più università. Si potrebbe pensare a un coordinamento più efficace, che se ne offra uno soltanto in una sede che ne risulti quindi potenziata. Un serio discorso di coordinamento passa attraverso il superamento dei particolarismi, perché i “campanilismi” talvolta impediscono persino di puntare all’eccellenza in determinate aree scientifico-disciplinari.
Al riguardo, vi riporto l’esperienza di un recente convegno a Bari alla presenza di tutti i Rettori delle università pugliesi e del nuovo governo della Regione Puglia, in cui si è riflettuto e discusso in maniera attenta e approfondita di tutti questi aspetti. È emersa la necessità di un coordinamento e di una razionalizzazione non solo per i corsi di studio di primo e di secondo livello, i “classici” erogati ovunque, ma anche per le iniziative di formazione post lauream, e quindi per i master di primo e di secondo livello. Segnalo che nella mia Università, per esempio, dei master proposti nell’anno accademico 2014-15 il 92% è stato un insuccesso, mentre l’8% è stato un successo (cioè hanno registrato un numero d’iscritti sufficiente per poter essere effettivamente avviati). Anche questo deve indurci a fare un po’ di autocritica sulle iniziative formative post lauream, che rappresentano il trait d’union con il territorio e che realizzano la cosiddetta “professionalizzazione”: dobbiamo cercare di comprendere meglio quello che siamo in grado di offrire al territorio in termini di formazione delle competenze effettivamente richieste dal territorio stesso.
Vi è poi un altro ambito a mio parere importantissimo, forse non sufficientemente considerato: l’apprendimento durante tutto l’arco della vita, o “apprendimento permanente”. Il sistema universitario può e deve occuparsi anche di questo, perché in un contesto socio-economico e socio-culturale che cambia a velocità molto elevata è importante che l’Università faccia la sua parte, formando competenze non solo in percorsi strutturati come i master, ma anche mediante corsi di aggiornamento o perfezionamento da offrire costantemente, appunto durante tutto l’arco della vita.
Tornando all’interazione del sistema universitario con il territorio, credo poi che sia necessario fare sistema in modo serio e sistematico tra Università e altri interlocutori, fondamentalmente i decisori politici, coloro i quali decidono il destino delle risorse. Condivido pertanto quanto affermato da altri colleghi relativamente all’esistenza di un problema culturale, che andrebbe superato facendo sistema in maniera credibile, rendendo effettivamente operative le proposte. Ciò significa anche fare seriamente programmazione, in modo che le risorse vengano destinate a fattori di sviluppo e non per altri fini. Le risorse sono, infatti, il “germe” che determina poi la crescita, che crea produttività reale all’interno del territorio.
Bisognerebbe a tal fine cominciare con uno studio appropriato a monte, perché se non si conoscono i fattori di contesto, o se i fattori considerati sono basati su statistiche sbagliate, ormai superate e non aggiornate, si rischia di fondare il ragionamento su concezioni stratificate (e verosimilmente errate) nel tempo: così si finge di programmare, e si indirizzano male le risorse.
Perciò è importante anche che, da parte del sistema universitario, venga fornito un contributo in termini di metodo, fornendo conoscenze e competenze acquisite con metodo scientifico: qualcosa che preveda serietà e riproducibilità dell’approccio, in maniera che la decisione assunta sia ponderata, non necessariamente giusta al 100% ma perlomeno una decisione sostenibile, accurata, e che determini un reale sviluppo del territorio in cui il sistema universitario opera.
Per concludere, tanti sono i contributi che il sistema universitario può fornire al territori: le Università possono infatti rappresentare un volano per la crescita del territorio stesso. Ben venga l’autocritica interna al sistema, allora, se accompagnata da una lucida riflessione su quello che è stato fatto per cercare di migliorarsi e quindi per offrire qualcosa di più competitivo e spendibile, che crei una migliore occupabilità nel contesto lavorativo.
Vincenzo Zara, Rettore Università del Salento