di: Cecilia Manzo
EyesReg, Vol.9, N.3, Maggio 2019
I Fab Lab sono piccoli laboratori, aperti al pubblico, che offrono strumenti e servizi per la produzione digitale, promuovendo così l’innovazione sociale ed economica, generando economie esterne, tangibili e intangibili, utili per lo sviluppo (1). La loro configurazione è insieme quella di una comunità locale e globale: uno spazio fisico utilizzato per il tutoraggio e l’innovazione che genera piccoli gruppi, molto affiatati, di persone in contatto frequente tra loro. Ed allo stesso tempo, un “luogo” globale, grazie alla comunità internazionale (Fab Foundation) che mette in comunicazione gruppi di individui distanti, diffusi in tutto il mondo, attraverso pratiche e attitudini condivise. I Fab Lab mobilitano così, risorse locali, mentre utilizzano un repertorio di pratiche e risorse disponibili su scala globale.
Riguardo le modalità operative, i laboratori di fabbricazione digitale appartengono a quell’insieme di diversi fenomeni che compongono l’economia della condivisione: creano sistemi di relazioni orizzontali basati su accesso temporaneo a strumenti di produzione e servizi.
I laboratori hanno tre obiettivi principali: formazione; promozione della fabbricazione digitale; sviluppo della collaborazione e dell’innovazione aperta. Attraverso le loro molteplici attività, i Fab lab, possono, quindi, svolgere un ruolo nello sviluppo locale sia in termini di innovazione sociale che economica, rappresentando una infrastruttura sociale per l’innovazione, progettata per stimolare l’apprendimento, la creatività e la collaborazione tra pari, offrendo nuove soluzioni ai bisogni delle comunità locali. Per attività che i Fab Lab svolgono possono quindi essere definiti dei beni collettivi locali (BCL), pur seguendo una logica “privato-collettiva” (secondo cui individui, o piccoli gruppi di persone, investono le proprie risorse e competenze per produrre beni collettivi), che li differenzia dai BCL “tradizionali” descritti dalla letteratura sullo sviluppo locale, più legati ad attività delle istituzioni pubbliche (autorità) o organizzazioni di interessi (associazioni).
Il fenomeno dei Fab Lab, nonostante la diffusione globale, è un fenomeno piuttosto concentrato dal punto di vista territoriale. Da quando il primo laboratorio fu fondato a Boston nel 2003, hanno avuto una espansione di tipo esponenziale ma piuttosto lenta raggiugendo nel 2018 la cifra di 1.728. La maggioranza si colloca in due aree geo-politiche (Stati Uniti e l’Unione Europea) e un po’ meno della metà si colloca nei paesi dell’Unione Europea (715). La differente distribuzione geografica va ricercate, in parte, nei diversi modelli di urbanizzazione, soprattutto, nei diversi meccanismi fondativi. Negli Stati Uniti, infatti, si è assistito ad un modello generativo più “istituzionalizzato”, basato sulle politiche e sulle istituzioni educative, mentre in Europa ad un modello più “dal basso”, basate su iniziative di associazioni non-profit e gruppi di cittadini.
In Europa la diffusione dei Fab Lab è piuttosto varia e influenzata dalla dimensione demografica delle regioni; dal loro livello e modello di sviluppo; ed infine dalla loro competitività e dinamismo. Tra prime 20 regioni europee per numero di Fab Lab, si trovano regioni specializzate nella produzione manifatturiera, quali: la regione francese dell’Île de France, e le regioni italiane della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna. Ciò detto, questi laboratori sono presenti in un numero nettamente maggiore in alcuni Paesi, come la Francia (214) e l’Italia (164) che in termini assoluti rappresentano il secondo e il terzo paese al mondo, ed entrambi sono caratterizzati da sistemi d’innovazione nazionali/regionali meno performanti (secondo i dati del Innovation Union Scoreboard 2016).
Il caso francese registra una continua crescita del numero dei laboratori, solo negli ultimi tre anni (2016-2019) sono nati 57 nuovi laboratori, il doppio rispetto all’Italia che negli ultimi tre anni ha visto un netto rallentamento della nascita di nuovi spazi (30 in totale). La proliferazione e consolidamento dei laboratori francese è dovuto in grossa parte al sostegno da parte delle istituzioni pubbliche e semi-pubbliche, unito alla mobilitazione spontanea da parte dei cittadini. Diverso, invece, il caso italiano dove questo sostegno pubblico è finora mancato. Per quanto molto diffuso, il fenomeno dei Fab Lab in Italia infatti risulta connotato da un maggiore “volontarismo” e da una certa fragilità.
Un tratto comune ai due paesi sono le caratteristiche del manager dello spazio. Essi sono dei veri e propri “tutto fare” impegnati nell’intera gestione: dalla manutenzione e accesso ai macchinari, aiuto ai soci, organizzazione dei corsi di formazione, fino all’apertura e chiusura dello spazio. Inoltre, hanno il ruolo, forse il più importante, di facilitatori della comunità che oltre ad animare, dà sostegno alla gestione del laboratorio (in Francia il 54% dei laboratori utilizza un minimo di 10 ore di lavoro volontario a settimana; in Italia il 42% dei laboratori non ha dipendenti). All’interno dei laboratori di entrambi i paesi troviamo quindi piccoli gruppi di persone che hanno come obiettivo l’apprendimento, la diffusione e lo sviluppo della fabbricazione digitale. La maggior parte dei laboratori francesi ha come utenti principali il “grande pubblico” (dai cittadini alle start-up) una idea di “servizio pubblico” e di apertura ai cittadini che sembra richiamare la tradizione francese di “educazione popolare” (Bottollier-Depois et al 2014). Un profilo simile agli utenti italiani: studenti, persone in cerca di una prima occupazione, hobbisti, ed allo stesso tempo imprese private, istituzioni e associazioni di categoria.
In generale, i laboratori di fabbricazione digitale, se pur rappresentano un fenomeno concentrato in alcune aree, hanno numerosi elementi di interesse non ancora del tutto esplorati e, non completamente misurabili. Da un lato, hanno un ruolo importante nella creazione e diffusione delle innovazioni (Halbinger 2018). Dall’altro, una letteratura emergente (Armondi 2019) analizza come questi spazi contribuiscano ad un “nuovo assetto” urbano nei quartieri dove hanno sede, e l’emergere di nuove politiche locali dedicate. Nuove ipotesi che rafforzano i risultati finora mostrati sulla natura dei Fab Lab come dei “beni collettivi locali” in grado di generare esternalità economiche e sociali (come ad esempio formazione, mezzi di produzione, diffusione delle innovazioni, riqualificazione di spazi, etc), di tipo materiale e immateriale, che non sempre passano attraverso il mercato e spesso difficilmente misurabili con parametri economici.
Figura 1. Distribuzione geografica dei Fab Lab in Europa. Fonte: Fablabs.io
Cecilia Manzo, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DSPS), Università degli Studi di Firenze
Riferimenti bibliografici
Armondi, S. (2019), Le spazialità del lavoro emergenti come occasione di riorganizzazione territoriale e di diversificazione economica, Eyesreg, 9, 3.
Bottollier-Depois, F., Dalle B., Eychenne F., Jacquelin A., Kaplan D., Nelson J. e Routin V. (2014), Etat des lieux et typologie des ateliers de fabrication numérique, Conseil et recherche – FING, http://www.newpic.fr/doc/dge-etat-des-lieux-fablabs-2014.pdf
Halbinger, M. (2018), The role of makerspaces in supporting consumer innovation and diffusion: An empirical analysis, Research Policy, 47, 19, 2028-2036.
von Hippel E. (2017), Free Innovation, Cambridge Mass.: The MIT Press.
Note
(1) I dati presentati in questo capitolo sono frutto della ricerca condotta dall’autrice insieme a Francesco Ramella. Per lo studio completo si veda Ramella, F. e Manzo, C. (2019), L’economia della collaborazione. Le nuove piattaforme digitali della produzione e del consumo, Bologna: Il Mulino. Ramella, F. e Manzo, C. (2017), Into the Crisis: Fab Labs – A European Story, in «Sociological Review», vol. 66, n.2, pp. 341-364;