di: Angelina De Pascale
EyesReg, Vol.1, N. 4 – Novembre 2011.
La teoria economica è nata e si è sviluppata, per lungo tempo, in un mondo in cui i problemi dell’inquinamento e del degrado ambientale non si ponevano nei termini con cui si pongono oggi.
La relativa indifferenza da parte della teoria economica in materia di tematiche ambientali è stata anche favorita dal carattere composito che assume l’ambiente, dalla sua variabilità ed incertezza nel tempo e nello spazio.
In generale si deve, infatti, riconoscere che la teoria economica privilegiando l’analisi di sistemi in cui l’equilibrio di mercato ed i valori di scambio hanno un merito preponderante, si trova in difficoltà quando gli interessi sociali e quelli privati divergono.
Dal punto di vista economico, quindi, l’ambiente appare come un insieme di risorse naturali che sono necessarie allo svolgimento del processo economico. In quest’ottica, anche l’inquinamento può essere considerato come un processo economico di sfruttamento delle risorse naturali (Siebert, 1987).
Inoltre, occorre marcare lo stretto collegamento esistente tra aspetti critici della problematica ambientale, mutamenti strutturali e contesto istituzionale. I processi di cambiamento propongono, infatti, nuovi esempi di “esternalità”. In presenza di cambiamento tecnologico e di evoluzione della struttura organizzativa ed istituzionale tendono a manifestarsi nuove interazioni “non di mercato” che non vengono e non sono adeguatamente frenate dalle leggi e dalle politiche vigenti, mentre quelle già esistenti tendono ad accumularsi nel tempo.
Molti economisti ambientali ritengono che la teoria economica abbia molta della responsabilità imputabile all’accumularsi dei problemi ambientali, accusandola di identificare lo sviluppo con l’accrescimento della disponibilità di beni materiali e di ignorare le implicazioni in termini di qualità dei processi produttivi e di consumo. Basti pensare a come tutti i modelli di equilibrio economico generale sono realizzati sulla base di ipotesi che contemplano la disponibilità illimitata di risorse naturali, o la possibilità di liberarsi senza costo di qualsiasi quantità di prodotto o scarto si desideri, a ben vedere, ipotesi che eliminano a priori ogni problema economico posto dall’esistenza dell’ambiente.
Così, ad esempio, la scuola neoclassica aveva ridotto il processo economico alla meccanica “la meccanica dell’utilità e dell’interesse egoistico” fino ad arrivare a rappresentarlo come un modello circolare in cui trovano rappresentazione le fasi di produzione e consumo, seguendo uno schema in cui l’ambiente naturale non ha alcuna rilevanza.
D’altra parte, Georgescu-Roegen, si pone alla ricerca di elementi capaci di instaurare una nuova connessione tra ambiente ed attività economica, rivelando come soluzione la “legge di entropia”: “l’economia è lo studio delle trasformazioni di materia ed energia realizzate dall’attività umana e quella di entropia è la legge fisica che tratta proprio di tali trasformazioni” (Zamagni, 1982). Secondo Georgescu-Roegen, dunque, non si riusciranno ad ottenere risultati sempre efficaci senza una ferma conoscenza della legge dell’entropia e delle sue conseguenze (Georgescu-Roegen, 1971). Sotto questo aspetto risultano particolarmente interessanti le testimonianze di Robert Solow secondo cui, per affrontare il problema delle risorse naturali “sono necessarie l’economia e la legge dell’entropia” (Solow, 1974). Afferma Georgescu-Roegen, il meccanismo di mercato non è mai riuscito a far fronte ai problemi ambientali. Anche se la domanda diminuisce in seguito all’aumentare del prezzo la sua rigidità può essere tale che una consistente diminuzione può essere determinata solo da un notevole aumento del prezzo e questo è il caso che si verifica per i c.d. “beni vitali” come ormai possono essere considerati i prodotti petroliferi .
In realtà, vista l’inefficienza del meccanismo di mercato nell’affrontare le questioni ambientali e se il prezzo di mercato risulta poco adatto a risolvere le problematiche ambientali recenti, detti strumenti appaiono ancora più insufficienti per assicurare la ripartizione delle risorse tra le generazioni presenti e quelle future.
Nell’”Economia del Benessere” (1960), Pigou rivela come l’esistenza di un gap fra costo sociale e costo privato metta in discussione l’ottima allocazione delle risorse così come viene realizzata dal mercato. Inoltre, la letteratura economica evidenzia come, da un lato, si assista spesso ad una sottovalutazione del fenomeno poiché raramente, se non addirittura mai, si è tentato di dare una quantificazione che il peso dell’internalizzazione delle esternalità prodotte avrebbe sui risultati economici di una data attività (Lombardini, 1977). Ad es. carenza di studi in grado di dimostrare quanta parte dei costi totali di un dato settore venga scaricata di fatto sulla società, o che tentino una valutazione degli effetti complessivi del fenomeno integrandoli nei conti nazionali. Dall’altro, la mancata considerazione degli effetti determinati dall’accumularsi, nel lungo termine, di esternalità non assunte, in altri termini la “trasmissione intergenerazionale delle esternalità”.
È proprio in riferimento a questa possibilità che si è introdotto il concetto di “sviluppo sostenibile” ed è con riferimento a tale circostanza che le questioni ambientali, negli ultimi tempi, sono state portate all’attenzione dell’opinione pubblica.
Gli eventuali minori benefici futuri ed il danno ambientale, in termini di disponibilità della qualità dell’ambiente, devono essere detratti dai benefici in termini di reddito corrente che lo sfruttamento dell’ambiente comporta, in termini di produzione di esternalità negative. Detto sfruttamento, dunque, non giungerà fino al punto da rendere il beneficio marginale corrente, indubbiamente insito di esternalità positive in termini di reddito e di occupazione, uguale a zero, ma fino al punto di eguagliarlo al costo marginale sociale calcolato sia in termini di minori possibilità di crescita futura sia in termini di un peggioramento della qualità della vita. Operando in tal senso, all’utilizzo della “risorsa ambiente” non viene dato un prezzo pari a zero, ma un prezzo positivo. Tuttavia, affinché la società attuale possa giungere a compiere detto calcolo, occorre innanzitutto che essa sposti l’analisi da un orizzonte temporale di breve ad uno di lungo periodo o comunque superiore alla durata della generazione attuale. Poiché, quanto maggiori sono i danni ambientali irreversibili e quanto minori sono le possibilità di sviluppo futuro, tanto minori saranno le opportunità o la libertà per le generazioni future di esercitare le loro scelte. Ne segue che, a tergo di un siffatto calcolo, che attribuisce un valore elevato al prezzo di utilizzo delle risorse ambientali nel presente, c’è un’esigenza di equità intergenerazionale.
Tornando al tema del nostro discorso, pare d’uopo chiedersi come può il mercato rispondere a detta esigenza? La risposta sta nel tasso d’interesse.
Se il tasso d’interesse è elevato ciò che accadrà nel lungo o nel lunghissimo periodo avrà un valore attuale basso e, di conseguenza, assumeranno un maggior valore gli eventi più vicini: i benefici in termini di reddito attuale derivanti dallo sfruttamento ambientale prevarranno sui benefici futuri e sui danni ambientali irreversibili. In altri termini, se spostiamo l’analisi al momento presente assume maggior peso il beneficio marginale dello sfruttamento che il beneficio marginale della conservazione o, se vogliamo, il costo marginale sociale (Caffè, 1980).
Il mercato, dunque, assegnando alla risorsa un basso prezzo di utilizzo, fornisce un incentivo, un segnale, verso lo sfruttamento ambientale. La soluzione sarebbe da ricercare in un basso saggio di sconto e, conseguentemente, un più elevato prezzo sociale per l’uso delle risorse ambientali, in modo da attribuire un maggior valore ai danni futuri ed ai conseguenti minori benefici. Ciò nonostante, se è vero che il meccanismo di mercato riflette le preferenze individuali delle generazioni presenti e le attuali generazioni sono poco sensibili al lungo periodo, l’autorità preposta alla politica ambientale dovrà assumere un indirizzo autoritario per esprimersi sui problemi ambientali, ciò, come si può facilmente immaginare, pone problemi assai delicati, potendo determinare situazioni anche fortemente contrastanti. Per dirla con Jean Philippe Barde “il mercato è miope, lasciato a se stesso non fornisce spontaneamente un prezzo alle risorse ambientali, la gratuità delle quali, conduce ad un eccessivo sfruttamento, allo spreco, alla devastazione” e per continuare con Kenneth Boulding “una società che perde la sua identità con la prosperità e che smarrisce la sua immagine positiva del futuro perde anche la capacità di trattare i problemi correnti e si dissolve rapidamente”(Boulding, 1966).
Se si decide di dare un valore economico all’ambiente traducendolo in un segnale di prezzo, il suo uso dovrà costare di più che zero, ciò si rifletterà in prezzi più alti dei beni di consumo privati ad elevato impiego di risorse ambientali. A ciò si potrebbe confutare che l’aumento di prezzo si tradurrà in una riduzione del potere d’acquisto ovvero in costi in termini di minor reddito e minore occupazione.
Tuttavia, detta riduzione di reddito può essere compensata attraverso una redistribuzione della spesa generata sotto forma di sussidi destinati a facilitare l’effetto di sostituzione indotto dall’aumento del prezzo, agevolando anche l’adozione di tecnologie a minor intensità di sfruttamento ambientale. In quest’ottica, un ruolo importante assumerebbe la spesa destinata alla ricerca. Il miglioramento delle conoscenze sul difficile rapporto tra sistema economico ed ambiente, l’aumento e la diffusione di tecnologie a basso impatto e sul recupero ambientale costituiscono, infatti, un’economia esterna in grado di condurre verso una rilettura del rapporto tra economia ed ambiente.
Angelina De Pascale, Università di Messina e INGV Roma 2
Bibliografia
Boulding K.E. (1966), The Economic of the Coming Spaceship Earth, in Jarrett H. (ed.), Environmental Quality in A Growing Economy, MD: Resources for the Future/Johns Hopkins University Press, Baltimore, pp. 3-14.
Caffè F. (1980), Lezioni di politica economica, Boringhieri, Torino, cap. 3.
Georgescu-Roegen, N. (1971), The Entropy Law and the Economic Process, Harvard University Press, Cambridge, Mass.
Lombardini S. (1977), I problemi della politica economica, Utet, Torino, pp. 18 e ss.
Pigou A. C. (1960), Economia del Benessere, Utet, Torino, pp. 122-123.
Siebert H. (1987), Economics of Environment, Springer, Verlag.
Solow R. (1974), The economics of resources or the resources of economics. Am. Econ. Rev. 64, 1-14.
Zamagni S. (1982), Introduzione a N. Georgescu-Roegen, Energia e miti economici, Boringhieri, Torino, pag.11.
at 07:22
complimenti
corio